03/01/2012 11 settembre, una ferita nel cuore del mondo

A dieci anni dagli attentati contro gli Usa, le religioni hanno un compito ancora decisivo: dissociare la violenza dal nome di Dio. Con lo “spirito di Assisi” caro a Giovanni Paolo II

di gigasweb

Fonte: Famiglia Cristiana

L’11 settembre 2001 è una data da non dimenticare. Quel giorno ha cambiato la storia. Allora seguimmo sconvolti in diretta gli atroci atti terroristici contro gli Stati Uniti, mentre 2.997 americani venivano uccisi.
Per molti, quegli eventi furono la conferma di una lettura della storia. L’aveva proposta, nel 1996, lo studioso americano Samuel Huntington, convinto che fosse finito il tempo delle utopie di pace. Era l’ora del clash of civilizations: scontro tra blocchi di civiltà e religioni. Più grave tra tutti era l’antagonismo tra islam e Occidente cristiano. Bisognava trarne le conseguenze e condurre una guerra al terrorismo. Cresceva l’allarme per la presenza musulmana in Europa, mentre si ripeteva che lo scontro era il nostro futuro.

C’è chi non ha creduto a questa lettura, non per cedevolezza al terrorismo, ma per una comprensione più profonda – credo – della storia.
Dà voce a questo sentire un’iniziativa particolare a Monaco di Baviera per ricordare l’11 settembre. Si apre, proprio l’11 settembre 2011, a dieci anni dagli attentati, con la partecipazione di numerosi leader cristiani, ebrei, musulmani, budhisti e induisti, riuniti nello spirito di Assisi. Vi partecipano il presidente tedesco e la cancelliera Merkel.
L’hanno organizzata la Comunità di Sant’Egidio e la diocesi di Monaco. È un meeting di dialogo e preghiera per la pace. Dopo l’11 settembre il dialogo tra le religioni (specie l’islam) è stato accusato di ingenuità. Bin Laden l’ha irriso con un messaggio farneticante: «Loro vogliono il dialogo, noi la morte».

Lo “spirito di Assisi” viene da una grande intuizione di Giovanni Paolo II, che convocò le religioni nella città di san Francesco nel 1986 per pregare per la pace. Mai si era visto qualcosa di simile. Era una strada da continuare. Così ha fatto la Comunità di Sant’Egidio, radunando anno dopo anno i diversi leader religiosi in differenti città del mondo. Ricordo, ad esempio, l’incontro del 1989 in una Varsavia trepidante, mentre il regime comunista era in bilico.

La fine del comunismo nell’Est europeo è stata, in un certo senso, l’affermazione dello spirito non violento di Assisi: «Non abbiamo pregato invano ad Assisi», disse Giovanni Paolo II.
Quel cammino, con la cadenza annuale degli incontri, ha liberato energie di pace, sostenuto percorsi di riconciliazione, favorito amicizia e conoscenza tra mondi religiosi e umani lontani, se non ostili. Insomma ha avvicinato i credenti. Dopo l’11 settembre, Giovanni Paolo II volle riaffermare lo spirito di Assisi: convocò di nuovo nel gennaio 2002 i leader religiosi nella città di san Francesco per dire no al terrorismo e pregare per la pace.

Il decennio trascorso dall’11 settembre 2001 è stato caratterizzato dalla ripresa dello spirito bellicistico, che ha rivalutato la guerra come strumento per risolvere i conflitti, dare sicurezza, affermare il diritto. Non era la via indicata da Giovanni Paolo II. Il bilancio dei conflitti (tra Afghanistan, Irak e Pakistan) è pesante: 137 mila civili morti, quasi 8 milioni di rifugiati, 6 mila soldati statunitensi uccisi, secondo una valutazione americana. Pochi problemi sono stati risolti. Anzi il mondo di oggi è caratterizzato dalla diffusione della violenza: al terrorismo e alle guerre ancora aperte si unisce una violenza diffusa, spesso opera di mafie o internazionali del crimine.

Bisogna riproporre nuovamente e con serietà il problema della pace sui grandi scenari internazionali e su quelli più piccoli di tante città e regioni, veramente degradate. I muri non difendono: “Destinati a vivere insieme” è il tema del meeting di Monaco di Baviera. Sì, il mondo di domani sarà sempre più caratterizzato dalla convivenza di gente di etnie e religioni diverse. Siamo destinati a vivere insieme e allora dobbiamo trovare le vie per farlo. Il dialogo non è prima di tutto qualcosa di accademico, ma l’arte di vivere insieme.

Le religioni hanno un compito decisivo: dissociare la violenza dal nome di Dio, ma soprattutto fondare la pace come compito religioso nell’esercizio quotidiano del dialogo.
Giovanni Paolo II nel 1986 ad Assisi disse: «Forse mai come ora nella storia dell’umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace». È un’affermazione ancora più attuale oggi che nel 1986. La logica del conflitto, prevalente negli ultimi dieci anni, ha fallito. È l’ora di una svolta. La costruzione della pace è più realista delle “promesse” di quelli che credono nella guerra.
C’è un grande lavoro da fare: conquistare culture, uomini e donne, ambienti religiosi, all’amore per la pace. Per questo c’è bisogno di “pacificatori”: donne e uomini di diverse religioni che cerchino realisticamente le vie della pace, educhino alla pace, comunichino uno spirito di pace. L’incontro di Monaco, dopo dieci anni difficili e nel cuore di una crisi economica, vuole rappresentare un segno di speranza.

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