Fonte: Corriere della Sera - SETTE
La visita di papa Francesco a Lesbo il 16 aprile scorso ha ricevuto molta attenzione. Il Papa ha mostrato vicinanza ai rifugiati. Ha anche inviato un messaggio all’Europa e ai suoi governanti: non bisogna aver paura del popolo che bussa alle porte del continente. La soluzione – ha ribadito – non sono i muri, dietro cui l’Europa si spegne, ma i “ponti”. I muri, oggi, non sono una metafora, ma una realtà concreta. Inoltre, il papa ha portato con sé dodici profughi siriani (musulmani), come ospiti suoi e del Vaticano. Molti i commenti positivi. C’è stata commozione. Non sono mancate critiche aspre. Innanzi tutto la scelta dei musulmani, che hanno lasciato l’isola con il Papa.
Francesco è stato accusato di trascurare i cristiani d’Oriente, specie siriani, perseguitati negli ultimi anni o quantomeno esuli come i loro concittadini musulmani. In realtà il Papa è intervenuto molto a favore dei cristiani orientali. La verità è che molti vorrebbero un Papa che denunciasse i musulmani come pericolo per il continente e minaccia per il cristianesimo: una nuova invasione e una “quinta colonna” eversiva. Lui ha spiegato sull’aereo che lo riportava a Roma: solo i rifugiati musulmani avevano i documenti in regola per venire in Europa ed è stato impossibile accogliere alcuni cristiani per motivi legali: «Tutti sono figli di Dio», ha concluso.
Non che il Papa sia inconsapevole della radicalizzazione di taluni settori musulmani in Europa. Infatti ha detto: «Alcuni dei terroristi che hanno compiuto attentati sono figli e nipoti di persone nate in Europa. Che cosa è successo? Non c’è stata una politica d’integrazione. L’Europa deve riprendere questa capacità d’integrare, sono arrivate tante persone nomadi e ne hanno arricchito la cultura». Francesco delude chi si aspetta da lui un’identificazione tra Europa e cristianesimo (com’è sostenuto nell`Est europeo, specie in Ungheria ma anche in alcuni ambienti polacchi). È ben lontano da chi vorrebbe una Chiesa impegnata a denunciare tutto l’islam, magari ricordando l`epopea cinquecentesca della battaglia di Lepanto, dove la flotta “cristiana” benedetta dal Papa sconfisse quella ottomana. Il Papa ha una visione “evangelica” e non etnica del cristianesimo. E poi nutre fiducia che società aperte e consapevoli della propria identità possano integrare chi arriva. È la storia bisecolare della sua Argentina e non solo. Non si tratta di una posizione utopista, perché Bergoglio conosce le difficoltà dell`integrazione, come ha detto. Da parte sua, crede che una Chiesa più viva sia un grande apporto all`integrazione e alla costruzione del futuro. Soprattutto pensa che i muri spengano i popoli che si riparano dietro di essi. Questa sensibilità si misura con un consistente “partito della paura” transnazionale. La stessa cancelliera Merkel ha fatto significative aperture ai rifugiati nei mesi passati ma, poi, ha dovuto tener conto degli umori dell’elettorato. Alle recenti elezioni presidenziali in Austria, alla prima votazione, ha trionfato il candidato dell’estrema destra (che va al ballottaggio), espressione della politica del muro. Popolari e socialdemocratici austriaci si sono messi a inseguire posizioni estreme sui rifugiati. Sono cedimenti che non pagano anche in termini elettorali. In questo quadro europeo, Francesco sarà un “profeta” isolato e utopista? Le Chiese devono prendere la parola con più forza. L’hanno fatto alcuni leader ortodossi ed evangelici. C`è bisogno di un movimento più largo e pensoso. La questione riguarda però tutti gli europei di qualunque posizione: che Europa vogliamo? I rifugiati oggi sono forse il test più importante per una visione dell`Europa di domani. La politica della paura può rassicurare per un momento, ma non garantisce il futuro.