Fonte: L'Unità
Caro direttore,
rispondo volentieri al suo invito di spiegare ai lettori del suo giornale le impressioni ricevute e i sentimenti provati durante le mie recenti visite a Firenze, Torino e Genova, dove ho incontrato le comunità straniere, i rom, ma anche tanti cittadini italiani che guardano ai fenomeni immigratori con un misto di speranza, di accoglienza e di preoccupazione.
Ho ribadito in questi giorni il timore – rafforzato dai recenti, preoccupanti fatti di cronaca -che la crisi economica che investe l'Italia e l'intera Europa possa diventare un detonatore per tensioni e conflitti esistenti nella nostra società, specie tra le categorie meno abbienti, che soffrono di più per tagli e sacrifici.
Credo che, a maggior ragione, le forze politiche, i media e le istituzioni, debbano operare con grande senso di responsabilità in frangenti come questi: evitando di soffiare sul fuoco e, semmai, aiutando a prevenire e a spegnere i roghi che qua e là si possono accendere.
Non credo che sottolineare questo aspetto sia contravvenire alla natura di governo tecnico che caratterizza la stagione dell'esecutivo guidato da Mario Monti e sostenuto da un'ampia maggioranza parlamentare. Penso che sia invece non solo un diritto, ma un dovere da parte di chi – sia pure temporaneamente – riveste responsabilità pubbliche, ricordare che c'è necessità di un dibattito vero sui grandi problemi del Paese in un clima meno arroventato.
Ho letto i giornali in questi giorni, ho incontrato molte persone e ho ascoltato con attenzione pareri, suggerimenti e critiche. Non pretendo che tutti siano d'accordo sulle cose che dico a proposito di cittadinanza ai bambini immigrati o di rom, anche se spero che non faccia piacere a nessuno sapere che dei bambini, di qualunque etnia essi siano, nascano e crescano nel degrado. Ma se ne può parlare liberamente in Parlamento o altrove. È il sale della democrazia: esprimere un'idea, discuterla, confrontarla, soppesare i pro e i contro. Nessuno, in politica, ha la bacchetta magica o la verità in tasca.
La questione, semmai, è quella di favorire un clima di dialogo e di fattività tra le forze politiche, dove ognuno possa esprimere il suo parere senza incorrere in scomuniche reciproche. Non esistono, credo, oggi in Parlamento partiti razzisti da una parte e partiti buonisti dall'altra. Vederla così, in una logica mediatica e spettacolare, può anche essere funzionale, ma sarebbe un grave errore. A parte piccole minoranze aggressive e isolate, c'è una larga parte del Paese che sottolinea di più gli aspetti di legittima sicurezza dei cittadini italiani: i quali non possono essere lasciati soli di fronte ai fenomeni di immigrazione che, senza interventi delle istituzioni, sono spesso fonte di disagio. C'è un'altra parte, invece, che afferma di avere a cuore di più gli aspetti di solidarietà e di accoglienza.
Non sono, a ben vedere, due discorsi estremi e non componibili. Spetta alla politica (e a chi, in particolare, il Parlamento e il governo ha affidato l'incarico di occuparsi di integrazione), lavorare con lena, senza illusioni ma con ottimismo, per ridurre le distanze, avvicinare le diversità, comporre le diverse esigenze. Non ci si può dividere tra filo-immigrati e anti-immigrati, tra difensori degli italiani e paladini degli stranieri. Posto così, il problema diventa ideologico e dunque irrisolvibile. E per giunta fonte di esasperazione e di rischi. È un momento invece in cui serve ragionare, pacatamente, intorno alle soluzioni dei problemi. Ci si può dividere, legittimamente, su quali politiche adottare. Bisogna però cominciare a discutere non sull'esistenza del problema, che è un grande tema globale che va molto oltre le nostre piccole frontiere, ma responsabilmente sul modo di risolverlo: una questione di metodo, che però consente di fare passi da gigante verso la soluzione delle questioni. Insieme ce la si può fare. È proprio in questa direzione che intendo lavorare nei prossimi mesi.
La ringrazio, caro direttore, dell'opportunità che mi ha offerto di esplicitare il mio pensiero e le faccio i miei migliori auguri per il suo giornale in un momento non facile della sua antica storia, convinto come sono che tutte le voci, anche se scomode, rafforzano il nostro patrimonio culturale e democratico.