Fonte: Corriere della Sera - SETTE
Homs era una grande città siriana di circa 800.000 abitanti. Qui è nata Falak, figlia di un elettrotecnico, Suliman Al Hourani e di sua moglie Yasmien, che studiava inglese all’Università. Falak è oggi in Italia, dopo una storia molto difficile. La vita sua (sette anni) e del fratellino Hussin (sei anni) sono coincise praticamente con la guerra in Siria.
Il conflitto a Homs è cominciato subito nel 2011, dopo le prime manifestazioni contro il regime del presidente Assad e la pesante repressione dell’esercito. Per Assad e gli interessi del suo gruppo religioso, gli alauiti, Homs è nevralgica per la continuità territoriale tra le regioni alauite del Nord, sul Mediterraneo, e la capitale Damasco. Gli alauiti – circa il 20% dei siriani – hanno preso il potere nel 1970 con il padre dell’attuale presidente e lottano ferocemente da cinque anni, appoggiati da russi e sciiti iraniani e libanesi, per non essere emarginati dai sunniti. Questi hanno sostenuto la rivolta contro Assad e le stesse armate dell’Isis. Le posizioni sono però complicate e non sempre seguono le divisioni etniche.
In questa lotta terribile che ha distrutto la Siria, Homs ha avuto alterne vicende: combattimenti per le strade (anche tra sunniti e alauiti) e bombardamenti. Oggi è stata ripresa saldamente dal governo. Le immagini girate da un drone russo mostrano palazzi sventrati e moschee distrutte: un cumulo di macerie, dove alcuni vivono ancora. Questa è la “grande storia”. La famiglia Al Hourani però ha cercato una sua piccola storia che fosse migliore. Per Suliman e Yasmien, l’unico obiettivo da perseguire è salvare i figli. È la scelta di molti siriani, ostaggi del conflitto. Dove andare?
Nel 2012, la casa degli Al Hourani è bruciata sotto le bombe. La famiglia ha deciso di lasciare l’inferno di Homs per Damasco, la capitale. Qui c’erano alcuni parenti sfollati. Loro due, musulmani sunniti, hanno cercato protezione nella capitale del presidente alauita, dove vivono musulmani di ogni tradizione e cristiani. A Damasco si sta meglio che a Homs. Una strada ancora aperta lega la capitale con il Libano: la via dei diplomatici in visita al presidente siriano. Per la famiglia Al Hourani, è cominciato però un dramma nel dramma: la malattia di Falak. La bambina, colpita all’occhio sinistro da un tumore, è andata peggiorando. Mancavano medici e medicine. Così la scelta successiva è stata lasciare la Siria con un taxi attraverso la frontiera libanese: un percorso clandestino per tanti siriani.
Oggi il Libano ne ospita almeno 1.200.000 in condizioni precarie, perché il governo libanese teme di dar loro stabilità. In ogni modo il Libano fa la sua parte con maggiore generosità che l’Europa. Suliman e Yasmien, con i due figli, sono finiti nel Libano del Nord, in un piccolo garage a Tripoli, affittato per 200 dollari al mese. Suliman si arrangiava lavorando come poteva. L’obiettivo è stato curare Falak. I siriani hanno alle spalle l’inferno della guerra, ma sono intrappolati in un Libano che non rappresenta il futuro. Non possono tornare indietro, ma dove andare?
Per alcuni, l’unica speranza sono i barconi e l’azzardo della traversata mediterranea. Non è stato così per Falak e la famiglia. Hanno percorso il “corridoio umanitario“, che il governo italiano ha aperto in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio e la Federazione delle Chiese Evangeliche Italiane, sostenuto dalla Tavola Valdese. L’Italia ha scelto di accogliere persone e gruppi vulnerabili. Così sono Falak e gli Al Hourani.
Se i Paesi europei possono ricevere i profughi, perché non evitare i “viaggi della morte”, aprendo corridoi umanitari? Sono già arrivate altre 93 persone dal Libano in Italia con questa via. Si spera che l’esempio italiano sia contagioso. Intanto Falak si sta curando a Roma e almeno l’occhio destro è salvo.