Fonte: Famiglia Cristiana
La rabbia e la paura, espresse dal voto, non sono i sentimenti che Papa Francesco ha predicato di fronte all’altro e al mondo globale. Eppure la Chiesa non è lontana dalla vita della gente ed è in contatto con i suoi sentimenti. Un’analisi di Andrea Riccardi sulle colonne di Famiglia Cristiana del 19 marzo 2018.
Le parole di Bergoglio sui migranti sono state ignorate dalla maggior parte degli elettori. Le elezioni politiche italiane hanno dato un risultato incerto. La presenza di tre blocchi non consente una maggioranza omogenea. Su questo, nei giorni passati, sono intervenuti molti commentatori e politici. Ma c’è un aspetto trascurato, anche se non così urgente politicamente: il problema posto alla Chiesa dal voto.
Quale impatto ha avuto il suo messaggio sugli orientamenti della gente? Certo, non lo si misura principalmente con il voto, ma nemmeno è un aspetto da trascurare. Balza agli occhi come il messaggio di papa Francesco e della Chiesa sugli emigrati e i rifugiati non sia stato recepito da una fetta maggioritaria dell’elettorato, anche se tra i comportamenti personali e la scelta elettorale non c’è sempre coerenza. Il “sovranismo”, Italia first – direbbe Trump – professato apertamente da una parte della destra, non si concilia con la globalizzazione della solidarietà e l’integrazione europea su cui Francesco ha insistito.
La rabbia e la paura, espresse dal voto, non sono i sentimenti che Bergoglio ha predicato di fronte all’altro e al mondo globale. Non voglio però interpretare le elezioni come un test sull’insegnamento della Chiesa. Tuttavia bisogna riflettere in che misura taluni messaggi diventino cultura e vita del popolo cattolico. Il risultato elettorale avvicina l’Italia al sentire dei Paesi dell’Est. In alcuni di essi è rilevante il peso di Chiese, però, non troppo in sintonia con il messaggio papale sui migranti. Si può dire che il risultato elettorale manifesti uno scollamento dell’idea d’Italia degli elettori da quella solidale del Papa o pacata della Cei e infine della maggioranza dei vescovi.
Eppure la Chiesa non è lontana dalla vita della gente ed è in contatto con i suoi sentimenti. Non è vera la rappresentazione, talvolta affiorata nella campagna elettorale, di vertici episcopali “solidali” e di un popolo cattolico che va in altro senso. Il problema è un altro. Le grandi culture popolari italiane di ieri si sono infrante con la globalizzazione e la fine delle ideologie: la gente è sola di fronte alla televisione e ai social in una stagione dominata dalle emozioni. Infatti il voto oggi è molto emozionale. Giovanni Paolo II, nel 1982, disse: «Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta».
C’è un ricco vissuto cristiano di solidarietà, di amicizia sociale e di fede. La grande sfida è far emergere da questa realtà una cultura di popolo, capace di sostenere atteggiamenti personali ispirati dal Vangelo. Non si tratta soltanto di un mondo di fedeli, emotivo e volatile, ma anche di offrire al Paese uno spazio di vissuto umano e una cultura umanistica.