Per fermare il conflitto ucraino la diplomazia non è sufficiente: è necessario anche un coinvolgimento dell’opinione pubblica e delle Chiese. Sono ancora troppi i nazionalismi religiosi e le divisioni (di Andrea Riccardi)
Le tensioni tra Russia e Ucraina si inseriscono nel più complesso assestamento geopolitico, dopo la fine della geografia della guerra fredda. Il ridimensionamento dello spazio di Mosca ha indotto un processo di umiliazione della dimensione imperiale della Russia e una sua maggiore sensibilità all’allargamento della Nato e dell’Ue nello spazio dell’ex Patto di Varsavia e dell’Urss. Qui le radici delle tensioni attuali che possono portare a un conflitto. Le diplomazie europee, americana, russa e ucraina si sono cimentate da settimane sul problema. Speriamo si sia evitato il conflitto, un’irragionevolezza per tantissimi motivi. Un conflitto gravissimo proprio in Europa, che coinvolge una superpotenza e un grande Paese europeo.
Mi ha colpito, nonostante la preoccupazione diffusa, la scarsa presenza di un’opinione pubblica capace di riaffermare il valore della pace. C’è un’apatia per cui sembra che le decisioni a questo livello riguardino solo un ristretto club. Ma la guerra tocca tutti ed è “un’avventura senza ritorno”, come diceva Giovanni Paolo II, perché è un processo il cui sviluppo è imprevedibile. Il ruolo delle diplomazie europee va sostenuto da un’opinione pubblica impegnata, che manifesti una radicata sensibilità per la pace. Bisogna che la gente si riappropri di questo aspetto decisivo della politica e della vita.
Le guerre hanno fatto sempre riflettere i cristiani su quanto la divisione tra loro favorisca il conflitto. Il movimento ecumenico nasce anche da questa riflessione dopo il 1914-1918. Il tema fu ripreso dopo il 1945 e la Shoah. Oggi, dopo l’intensa stagione ecumenica dagli anni ’70/80, ci troviamo in una fase di rapporti cordiali tra Chiese, ma anche di una divisione forte a cui siamo rassegnati. Le Chiese ortodosse sono polarizzate tra Mosca e Costantinopoli a proposito dell’autocefalia concessa da questo Patriarcato a un settore della Chiesa ortodossa ucraina. Oggi, in Ucraina, il mondo ortodosso è diviso in una Chiesa fedele a Mosca e in un’altra autocefala. Accanto a queste due Chiese, c’è quella greco-cattolica, unita a Roma: entrambe celebrano la stessa liturgia. Dopo il Novecento, la pace non è sorretta dall’unità dei cristiani, anzi, tante volte la conflittualità è sorretta dal nazionalismo religioso. Che cosa hanno fatto le Chiese per promuovere la pace dal 2014, inizio del conflitto ucraino?
Ricordo le parole accorate di papa Francesco nel 2015, di fronte alla guerra scoppiata nel Donbass: «Questa è una guerra tra cristiani! Voi tutti avete lo stesso battesimo! State lottando tra cristiani. Pensate a questo scandalo. E preghiamo tutti perché la preghiera è la nostra protesta davanti a Dio in tempo di guerra». Il Papa alludeva al fatto che il cristianesimo dell’Ucraina e della Russia sono nati insieme nel battesimo di Rus’ sulle rive del Dnepr. Nonostante le divisioni, il cristianesimo in quelle terre ha un unico ceppo e una storia di mille e più anni. Concludeva il Papa: «Quando io sento le parole “vittoria” e “sconfitta”, sento un grande dolore… Non sono parole giuste: l’unica parola giusta è “pace”». Ha ragione: infatti il 26 gennaio scorso ha chiamato tutti a pregare per la pace. Le minacce di guerra ripropongono il problema di un’unità tra i cristiani. Diceva il Patriarca di Costantinopoli: «Chiese sorelle, popoli fratelli». L’unità e la pace non vanno di nuovo riproposte a un mondo cristiano che pare non volere sognare in grande?