Fonte: Corriere della Sera - SETTE
Parlare di Africa solo come terra di povertà e guerre è un errore. L’Africa di oggi è complessa, ricca non solo di risorse, ma anche d’intraprese economiche. Eppure è segnata da grandi miserie, differenti però da quelle di ieri: le miserie delle grandi città, largamente fatte di slum, dove si accalca una popolazione rapidamente urbanizzata. E poi l`Africa ha tante storie diverse, da paese a paese, con percorsi politici differenti.
Ho conosciuto l`Africa negli anni Ottanta attraverso il Mozambico, da poco indipendente dal colonialismo portoghese. Il Mozambico, un paese di 25 milioni di abitanti nell`Africa australe, rappresenta bene il lungo viaggio non senza dolori – dalla povertà all`età delle opportunità. Negli anni Ottanta, governava il regime marxista del Frelimo, il movimento di liberazione che aveva conquistato il potere con il collasso del colonialismo portoghese nel 1975. Un ricordo, per me, incancellabile è la fame che incontrai nel paese. Il grande mercato di Maputo, la capitale, era vuoto di tutto e si vendeva solo pesce secco.
Poche le macchine; tutti andavano a piedi. Il Paese, non molto dopo la guerra di liberazione, piombò in una guerra civile, conclusasi nel 1992. Le città erano isolate e, nella campagna, era forte la violenza della Renamo, un movimento antigovernativo, sostenuto dai sudafricani. Il Mozambico, amico dei paesi dell`Est ma in buoni rapporti con l’Italia della Dc e del Pci, era uno dei paesi più poveri del mondo.
Avvenne una “divina coincidenza” – come disse il presidente Chissano – che convinse, all`inizio degli anni Novanta, il governo ad aprire al pluralismo democratico e la guerriglia a optare per le trattative. In realtà ci fu una lunga e difficile mediazione tra governo e Renamo, durata più di due anni a Roma. Fui mediatore in quel negoziato, che si tenne a Sant`Egidio, con alcune personalità di spicco: l`ex sottosegretario italiano Mario Raffaella e Matteo Zuppi (ora arcivescovo di Bologna).
L’unico mozambicano, accanto ai tre mediatori italiani, era l`arcivescovo di Beira, Jaime Concalves, la cui presenza rappresentava una garanzia per la Renamo, diffidente a uscire dalla clandestinità. I negoziati furono anche una scuola di politica, per chi credeva solo alla forza delle armi. La pace venne il 4 ottobre 1992, fumata a Roma. I mozambicani, che avevano avuto un milione di morti in quella guerra, aspettavano con ansia la pace: non si viveva più. Nonostante tanto odio, non ci furono vendette nel paese. Cominciò la storia della democrazia. Mi commosse vedere in Parlamento la Renamo, come partito di opposizione, seduta accanto al Frenino: si passava dal conflitto armato a quello politico. Il Frelimo ha sempre vinto le elezioni nazionali. La Renamo, invece, ha accusato la sua scarsa integrazione nella gestione del potere.
Ci sono stati ventiquattro anni di pace. Il paese è cresciuto. I mercati sono pieni. La ricchezza circola, anche se ci sono ancora grandi povertà. E` stata scoperta una delle più estese riserve mondiali di gas offshore, probabilmente il terzo polo produttivo mondiale di gas naturale. Secondo stime, dal 2020 – inizio dello sfruttamento delle riserve – l`economia mozambicana potrebbe crescere del 24% l`anno. Ma bisogna realizzare strutture. E il Mozambico vive una crisi finanziaria, cui si aggiunge la crisi politica sull`orlo del conflitto armato. Il leader della Renamo, che firmò gli accordi di pace del 1992, ha ripreso la via della foresta: accusa di frode elettorale il presidente Nyusi (eletto un anno fa) e minaccia la guerra. Risorgono i vecchi demoni della guerra civile. Eppure è cresciuta una generazione di giovani preparati e connessi, estranei ai vecchi conflitti. Anche la democrazia è una storia che deve crescere. Quella mozambicana deve aggiornarsi, fare spazio, trovare nuovi equilibri. La guerra è sempre la strada peggiore. Ora il Paese vive momenti di ansia. Ma è possibile che si torni al passato dopo più di venti anni di pace? La recente scomparsa di monsignor Goncalves ha dato luogo a vaste manifestazioni di cordoglio per quest`uomo di pace: esprimono forse la volontà di un popolo che non vuole tornare al passato.