di gigasweb
Fonte:
Corriere della Sera
«Se vuole la simpatia dei latinoamericani, risolva i problemi con Cuba»: così avrebbe detto papa Francesco al presidente Obama un anno fa. Un consiglio raccolto. Presto si è giunti allo storico accordo, annunciato da Barack Obama e Raúl Castro il 14 dicembre 2014: la fine dell’embargo. Per Cuba è stata una svolta, che apre una stagione nuova. Per Obama, un vero successo. Con molta segretezza, nei mesi passati, Francesco — con pochi fidi — ha favorito la convergenza «impossibile» tra i nemici di più di mezzo secolo. Castro l’ha ringraziato in pubblico e, ieri, l’ha fatto di persona in un’ora di colloquio. Una tappa voluta con decisione al ritorno dalle celebrazioni di Mosca. Ormai il Vaticano è tornato a essere un crocevia d’interesse internazionale. Si diceva che Bergoglio, Papa pastorale, non fosse portato alla diplomazia. Invece, si moltiplicano incontri e iniziative, come questa tra Stati Uniti e Cuba. Il Papa è aiutato dalla Segreteria di Stato, guidata da un negoziatore provato, il cardinale Parolin, con un «ministro degli Esteri» anglosassone, monsignor Gallagher, alieno dai formalismi dell’ufficio, ma anche con un conoscitore di Cuba, il Sostituto Becciu, già nunzio nell’isola.
Dagli anni Novanta, Fidel aveva individuato nel Papa un interlocutore per uscire dall’isolamento dopo il 1989. Lui non credeva all’idea di alcuni per cui una Chiesa più libera avrebbe lavorato per seppellire il regime, com’era avvenuto in Polonia. Studiava Wojtyla con interesse: ricordo che mi riempì di domande su di lui durante una conversazione all’Avana. Nel 1996 Fidel andò in Vaticano e nel 1998 permise il viaggio di Giovanni Paolo II nell’isola. Il comunismo non vacillò, ma il messaggio papale fu forte, per i cubani e per gli Stati Uniti: «Che Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba». Bisognava uscire con il dialogo da una situazione bloccata: fu l’interpretazione dell’allora cardinale Bergoglio in un volumetto sul viaggio wojtyliano. Il futuro Papa criticava l’embargo americano, ma anche il regime socialista; diceva parole di simpatia per Wojtyla, il cui ruolo — scriveva — è «liberare, dialogare e partecipare, per costruire comunione…».
È toccato a Bergoglio, da Papa, concludere un processo iniziato quasi vent’anni fa. Raul Castro, da tempo convinto del ruolo politico della Chiesa, ha avuto anche parole di simpatia «spirituale » e personale per il Papa dopo l’incontro: «Leggo tutti i discorsi del Papa, se continua così tornerò alla Chiesa. Potrei ricominciare a pregare anche se sono comunista». Non la fine del comunismo, ma l’apertura ai valori dello spirito. La visita papale a Cuba non era in programma fino a poco tempo fa. Ma Francesco ha deciso di equilibrare il viaggio negli Stati Uniti, accogliendo l’invito del governo e dei vescovi cubani, guidati dal cardinale Ortega, un uomo di dialogo con il regime anche in anni duri.
Il papa latino-americano non vuole una Chiesa schiacciata sull’Occidente. Continua la grande politica di Giovanni XXIII e Paolo VI durante la Guerra Fredda. Ma, da allora, tanto è cambiato. È difficile tenere una posizione «terza» nel mondo globale, dominato dall’Occidente e da un unico sistema economico. Ma la Chiesa non sarà mai il «cappellano dell’Occidente e del dollaro», come l’accusavano i comunisti nel dopoguerra. Il Papa è interessato agli interlocutori critici del sistema economico globale. Lo si vede dal programma del viaggio in America Latina nel prossimo luglio: oltre al Paraguay (un Paese tanto povero), andrà in Bolivia, dove governa Evo Morales, primo presidente indigeno (autore di varie nazionalizzazioni), e nell’Ecuador del presidente Rafael Correa, che si dice cristiano di sinistra e umanista. In Bolivia, a Santa Cruz, il Papa parteciperà al secondo incontro mondiale dei movimenti popolari. Nel primo, a Roma, aveva affermato: «La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia ed è questo che fanno i movimenti popolari».
La prossima enciclica sull’ecologia fornirà materiali per una visione critica dello sfruttamento e sul ruolo dei grandi poteri economici. Non si confonda però la ricerca di soluzioni sociali ed economiche nuove con il filosocialismo, di cui lo accusano gli ambienti a lui ostili in America e altrove. Dovrebbero rileggersi le parole del cardinale Bergoglio sui limiti del socialismo a Cuba nel libretto sulla visita wojtyliana. In realtà Francesco parla con tutti, teme il pensiero unico, specie in campo sociale ed economico: vuole — come ha detto tante volte — inaugurare processi di cambiamento.