09/08/2020 L’Europa deve giocare un proprio ruolo In Libano

di Andrea Riccardi

Fonte: Corriere della Sera

Lo Stato sembra talvolta un ospite, che si muove in punta di piedi a casa sua. Ma in una Beirut distrutta è impossibile fingere: bisogna ricostruire. L’editoriale di Andrea Riccardi.

Il Libano si è sempre mosso tra realtà complessa e sogno che talvolta è diventato incubo: così fu durante la guerra civile (1975-1990), che ridusse Beirut a campo di battaglia o, ora, con l’esplosione che ha distrutto la capitale, cuore e anima del Paese. Interpreti principali del sogno, da secoli, sono stati i maroniti, fieri cattolici abitanti della montagna, amici della Francia, che si dicono figli dei fenici, diversi dagli arabi. Il sogno si realizzò dopo la Prima guerra mondiale e le stragi dei cristiani nell’impero ottomano: un Libano dove i cristiani non fossero minoranza come in tutti i Paesi arabi (qui erano la metà). Per realizzarlo c’era bisogno della Francia, potenza mandataria. Nel 1920, l’alto commissario francese, generale Gouraud, proclamò la Repubblica del Libano sullo scalone dell’Hotel des Pins (dove si è recato Macron durante la sua visita), accanto al patriarca maronita e ai leader sunniti. Il Libano si reggeva sull’alleanza tra la borghesia sunnita e cristiana. La Siria lo considerava (ancora è così) parte della sua terra, tanto da non inviare un ambasciatore a Beirut. Più volte, è entrata con le truppe ed è un attore «interno» della politica in Libano. Eppure, qui si è sempre respirata aria di libertà a differenza dei Paesi arabi. Niente censura. Vita libera, case da gioco, spazio di respiro e divertimento per un mondo arabo conformista e compresso a casa propria.

Dall’indipendenza, nel 1943, il genio del Paese è la convivenza tra le comunità religiose. Ben diciotto (l’ebraica è finita anche se è stata recentemente restaurata la sinagoga): dodici cristiane (prevalgono i maroniti), sei musulmane. Il primo ministro è sunnita e il presidente maronita. Il Libano fino agli anni Settanta era definito la Svizzera del Medio Oriente: paradiso fiscale e terra del buon vivere. Era le Liban du rêve! Ma non si è costruito uno Stato sociale, mentre i clan all’interno delle confessioni rafforzavano il loro potere, fino a formare milizie. Dal 1933 non si fa un censimento, che ora mostrerebbe i cristiani in minoranza turbando gli equilibri istituzionali. Nel 1948 arrivarono i palestinesi, ora 455.000, che abitano il Paese — nei campi, divenuti ormai veri quartieri — senza alcun riconoscimento. Popolo fantasma, ma con i propri armati, all’origine della guerra civile scoppiata nel 1975.

In una guerra di quindici anni, con cambi di alleanze, l’ingresso delle truppe israeliane e poi con l’insediamento dei siriani, il sogno di convivenza va in pezzi. Non solo per le tante milizie, ma perché i poteri clanici, legati a interessi affaristici e famiglie si dividono e ricompongono. Irrompono sullo scenario gli sciiti, sottoproletariato dimenticato e disprezzato: manovali, contadini, camerieri delle ricche famiglie maronite e sunnite… L’imam Moussa Sadr, ucciso in Libia da Gheddafi nel 1978, fonda un movimento di riscatto sciita. Con la vittoria di Khomeini si sviluppa una «teologia delle liberazione» islamica. Nel 1982 nasce Hezbollah, che si fa carico delle istanze di riscatto degli sciiti, ormai la componente più numerosa e forza militare più potente dell’esercito nazionale: uno Stato nello Stato, verso cui vanno i sospetti per l’esplosione al porto.

Non si tratta di ricordare le vicende degli ultimi decenni, tra violenze, assassinii, cambi di governo. La guerra in Siria ha portato un milione di profughi, accolti con generosità in un Paese di quattro milioni di abitanti. La convivenza tra comunità è spesso scaduta in connivenza affaristica, minata dalla crisi della «lira libanese». In un regime clanico e affaristico, s’è radicata la compatta testuggine di Hezbollah, che controlla quartieri, la regione Sud, ha sacrificato tanti uomini nella difesa di Assad in Siria. L’islamismo, come ideologia della liberazione, come fu il marxismo, ha derive terroristiche e criminali. Lo Stato in Libano sembra talvolta un ospite, che si muove in punta di piedi a casa sua. La terribile esplosione ha travolto il modus vivendi, per cui si fa finta, ci si ignora, si spartiscono spazi. Ormai, in una Beirut distrutta, è impossibile fingere. Bisogna ricostruire.

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