Fonte: Avvenire
L’ Italia, come Stato moderno, faceva in un certo senso parte di quel mondo, con cui il Sillabo aveva dichiarato che la Chiesa non doveva riconciliarsi. L’'identità originaria della nostra nazione' – afferma Lucio Villari in un recente libro, Bella e perduta – è strettamente connessa all’«affermazione della laicità dello Stato appena formato». Questa laicità è espressione di quella modernità, verso cui la Chiesa ha scelto un atteggiamento intransigente. Intransigenza è parola chiave per capire il cattolicesimo ottocentesco, come ha insegnato Emile Poulat, anche se non piace. All’intransigenza verso l’Unità laica e liberale si collega la nota questione romana. Pio IX reclama i diritti millenari della Chiesa su Roma e i suoi possessi, in una logica tipica della cultura della Restaurazione. Ma non è l’unico registro. Il papato – Pio IX e i suoi successori – sentono di non poter esercitare il loro ministero come sudditi di uno Stato, seppure dotati di guarentigie offerte dallo Stato italiano. Le due problematiche (rifiuto dello Stato liberale e sovranità del papa come garanzia della libertà) sono legate. È emblematica la vicenda 'liberale' di Pio IX nel 1848, in cui sente con qualche partecipazione il movimento nazionale, ma respinge, prima di tutto, la sua interpretazione liberale, mentre riafferma la sua sovranità e il fatto (decisivo) che il papa non può schierarsi contro uno Stato, l’Austria, in favore di un altro, l’Italia futura.
Il Regno prospetta al papato una condizione troppo diversa da come ha vissuto per un millennio. La Chiesa, pur rivestendosi delle forme dell’ ancien règime ed usando ancora con Pio IX argomentazioni tipiche di questa cultura, non si considera d’altra parte un’istituzione del mondo della Restaurazione e sente di avere un futuro al di là del crollo di questo universo.
C’è quindi un duplice profilo da cogliere: la battaglia di Pio IX nel suo tempo, ma anche la convinzione che la Chiesa abbia un futuro ulteriore, sorretta certo da argomentazioni di fede e dal fatto che il popolo italiano sembra in buona parte fedele al papa.
La riflessione su Chiesa e Risorgimento potrebbe svilupparsi, erudita (perché tanti, specie in passato, l’hanno approfondita), sull’estraneità cattolica e papale allo Stato unitario, magari soffermandosi sulla caduta dell’ipotesi giobertiana, conciliatrice di Unità, potere temporale del papa, ruolo nazionale del cattolicesimo. Oppure si potrebbe indugiare su appassionate avventure di pontieri tra i due mondi, puntualmente smentite. Le pagine di Arturo Carlo Jemolo, integrate da tanti studi successivi, restano come un riferimento, attraversate, come sono, dalla nota dolente del cattolico liberale per il mancato incontro tra due mondi (che nel suo sentire avrebbe potuto condurre a una riforma dell’una e a un arricchimento dell’altro). Tuttavia viene da chiedersi se, al di là dell’estraneità e dell’ostilità al Risorgimento del papato e dei cattolici, nonostante eventi traumatici, proprio nel cuore di questo processo di unificazione non avvenga nella Chiesa una trasformazione profonda. Non si tratta di conciliazione tra Stato e Chiesa né di trasformazione 'democratica' del governo della Chiesa come auspicavano alcuni cattolici liberali.
Si tratta di un aspetto importante del Risorgimento, ma sottaciuto. Il cattolicesimo diventa italiano e si rimodella sulla dimensione della nazione. Non si spiegherebbe altrimenti come, dopo conflitti, scomuniche, crisi di coscienza, si arrivi ad un’accettazione cattolica dell’Unità d’Italia, piuttosto serena.
Con l’Unità e la presa di Roma, viene rimodellata traumaticamente la struttura della Chiesa con le leggi sull’asse ecclesiastico e la soppressione delle corporazioni religiose. I religiosi in Italia passano dai 30.632 del 1861 ai 9.163 del 1871, le religiose dalle 42.644 alle 29.708. Si chiudono storici monasteri. Si smantella un mondo antico di vita religiosa, mentre si secolarizzano le opere pie, l’assistenza, l’istruzione. Resta in piedi, supportata e riconosciuta dallo Stato, la struttura pastorale della cura d’anime, rappresentata dalle parrocchie e dalle diocesi. La Chiesa è la struttura di assistenza religiosa della società nella visione dello Stato liberale.
Sembra la fine di un mondo, quello religioso di sempre, che ha segnato con monasteri, conventi, istituzioni, il panorama umano e ambientale d’Italia. Ci sono atti e cambiamenti radicali. Un’indagine rileva che, dal 1855 al 1879, sono soppresse più di 4.000 case religiose con 57.492 membri. Nel Mezzogiorno – ha rilevato Gabriele De Rosa – vengono soppresse le chiese recettizie, che avevano costituito la spina dorsale della Chiesa, mentre la parrocchia tridentina non si era mai affermata a differenza del Nord. Con la percezione acuta della fine del mondo, si sviluppa nel cattolicesimo una venatura apocalittica, mentre si moltiplicano episodi miracolosi e apparizioni. La laicizzazione della vita pubblica, della scuola, della sanità, introduce un orizzonte radicalmente nuovo e laico negli Stati della Chiesa e altrove. Le parole di Pio IX registrano sconcerto e condanna. Sembra davvero la fine del mondo di sempre.
Tuttavia, nonostante le comprensibili deprecazioni di fronte alla volontà di ridurre il ruolo della Chiesa, questa fine del mondo diventa la fine di un mondo, non la fine del cattolicesimo nel Regno d’Italia. Certo il ruolo della Chiesa è molto ridotto, mentre frana l’orizzonte pubblico della cristianità.
Ormai la Chiesa, più che avere uno spessore sociale e pubblico, rappresenta l’istituzione erogatrice dell’assistenza religiosa per volontà del nuovo sistema. Tuttavia che l’istituzione preposta a questa funzione sia la Chiesa cattolica non è in discussione per il governo italiano. Non si favoriscono gli evangelici, né quei vescovi liberali e patriottici, specie del Sud, come Caputo, presidente dell’associazione clericoliberale italiana nel 1861, e Giampaolo Di Giacomo, senatore del Regno, o i preti passagliani. Sorsero società indipendenti di clero, che fanno pensare a quelle sviluppatesi nel secondo dopoguerra nell’Est comunista.
Ma il governo alla fine non le appoggia. La religione italiana resta la Chiesa romana. E lo resta tra la gente. Più temibile per la Chiesa sarà l’anticlericalismo socialista, mentre quello borghese e liberale, pur forte, si ferma alle soglie delle masse italiane. Vari studi hanno mostrato che l’unificazione non comporta una crisi della pratica religiosa o dell’attaccamento alla Chiesa, come era stato preannunciato catastroficamente. L’Italia resta un paese cattolico, quasi specchio di quello che lo Statuto albertino dichiara: l’essere il cattolicesimo la religione di Stato.