Fonte: Famiglia Cristiana
Giovanni Paolo II è una grande figura del Novecento, di cui esprime appieno la storia. E’ anche un personaggio del Duemila: si è spento a nuovo secolo già iniziato e la sua eredità religiosa continua a essere un riferimento. Testimone del complesso crocevia polacco e protagonista della scena mondiale per 27 anni, è stato un personaggio decisivo della vicenda religiosa contemporanea, ma anche un leader che ha collocato la Chiesa nel cuore della storia.
Ai suoi funerali sono accorsi i grandi della Terra, assieme a tanta gente. Un simile interesse per un papa è rivelatore di come giovanni Paolo II abbia rappresentato una personalità decisiva per la sua Chiesa, per i cristiani, ma anche sia stato un leader globale che ha toccato le fibre di tanti mondi.
Una volta eletto Papa, nell’ottobre 1978, si è misurato con la crisi del cattolicesimo, con un Occidente secolarizzato e con un marxismo dai tanti volti. Tutti ricordano il suo primo messaggio: “Non abbiate paura!”. Ha, infatti, creduto nella forza delle energie religiose e spirituali della sua chiesa e dell’umanità, anche nel confronto con sistemi politici che avevano a disposizione “armi” di ben altro tipo e molto più potenti. Benedetto XIV mi ha detto di papa Wojtyla: “Veniva da un popolo sofferente, quello polacco, sottoposto a tante prove nella sua storia. Da questo popolo sofferente, dopo tante persecuzioni, si sviluppa la forza di sperare”.
Karol Wojtyla ha rappresentato la “forza di sperare” agli occhi dei cristiani e dei suoi contemporanei. Una volta eletto Papa, questa forza si è confrontata con scenari sempre più vasti, spesso difficili e contrastati, in cui il Papa non ha avuto timore di immergersi. Non si è rassegnato al declino della Chiesa e del mondo religioso, previsto come inevitabile da parte consistente del pensiero del Novecento. Anzi ha intuito, in controtendenza, come le religioni in tutto il mondo conoscessero una rinascita, seppure complessa.
Per più di 10 anni Giovanni Paolo II si è misurato con il comunismo, sino alla caduta del Muro. E’ stato un Papa “vincitore” nel confronto con l’impero sovietico a cui, negli anni ’70 e ’80, la maggior parte degli osservatori attribuiva una lunga vita. Quindi, Papa politico? Chi ha presente la dimensione spirituale, l’aspetto mistico e la preghiera di Wojtyla non può che dire il contrario: la fede è stato il cuore di un pontificato incentrato essenzialmente nella comunicazione del messaggio del Vangelo su tutte le latitudini.
Eppure, Giovanni Paolo II era convinto che il cristianesimo rappresentasse una forza di liberazione dell’uomo e dei popoli: centrato sulla dimensione spirituale, il cristianesimo poteva giungere a trasformare in qualche modo la storia delle nazioni. Questa è stata anche la vicenda della “liberazione” della Polonia dal comunismo, in cui il Papa ha giocato un ruolo di primo piano.
Nel 2003, ormai anziano e malato, Karol Wojtyla, rispettato dai leader di tutto il mondo, dice al corpo diplomatico radunato in Vaticano: “Ma tutto può cambiare. Dipende da ciascuno di noi. Ognuno può sviluppare in sé stesso il proprio potenziale di fede. E’ dunque possibile cambiare il corso degli eventi”. Questa è stata la sua fiducia.
Certamente papa Wojtyla, il “vittorioso”, conosce anche sconfitte e smentite: la guerra e la violenza (dall’Iraq al Ruanda), il rifiuto del suo messaggio sulla vita, la resistenza ad accogliere la sua predicazione fin nella Polonia postcomunista. Ma sa che non esiste una vittoria stabile in un mondo complesso e globale. La sua vita è stata una lotta, vissuta con tenacia. La lotta è una dimensione essenziale per comprendere il suo ministero, ancorché vissuta con una sostanziale serenità.
Karol Wojtyla ha operato su scenari differenti, dalla Polonia a Roma e al mondo intero. Tuttavia la sua storia non conosce forti fratture esistenziali, è abitata da una profonda continuità che viene dall’interiorità di credente e dalla sua intelligenza, sempre desiderosa di conoscere uomini e situazioni. Titolare di un alto magistero, sino alla fine resta interessato ad apprendere dall’incontro con gli altri. L’amico polacco Jerzy Turowicz afferma: “Per quanto sia il capo della Chiesa cattolica, un cittadino universale ed europeo, nondimeno non ha cessato di essere un polacco e un cracoviano”.
Un cracoviano? Per comprendere la sua vicenda e l’impatto del suo pontificato bisogna ripercorrerne la biografia, che s’intreccia con vicende storiche quanto mai travagliate. Lo storico polacco Bronislaw Geremek ha così espresso una grande tradizione storiografica europea: “La storia è un misto di scienza e di poesia”. Ricostruire la vicenda di Karol Wojtyla, lunga e articolata, richiede non solo “scienza” (e tanti archivi non sono ancora aperti), non solo capacità d’interpretazione e di narrazione, ma anche penetrazione nella cultura e nelle vibrazioni del personaggio, nonché consapevolezza delle energie spirituali da lui messe in movimento.
Ho sentito la responsabilità e la gioia di scrivere questo libro per la grandezza e il significato della figura di Giovanni Paolo II. Non si scrive, però, per fare un monumento, bensì per comprendere, per avvicinarsi a un personaggio e al suo tempo, per capire di più la storia della nostra epoca.
Al termine di questo libro, consapevole della complessità della vicenda di karol Wojtyla, del suo tempo e della sua Chiesa, faccio mie le parole del grande pensatore russo Pavel Florenskij: “Scrivo e so di disperdermi, perché non posso dire in una volta sola tutto ciò che si affolla nella mia coscienza”.