Fonte: Famiglia Cristiana
Non basta accoglierli, occorre mettersi nei loro panni, superare le barriere linguistiche e agevolarne l’integrazione. L’editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana
C’è un’ondata di solidarietà verso gli ucraini in vari Paesi europei. L’ho visto in Polonia, dove molto è affidato alla spontaneità della società, alle famiglie, ai gruppi. Ma anche in Italia tanti offrono aiuto, danno contributi, mettono a disposizione alloggi e propongono di ospitare nelle proprie case. È significativo, dopo due anni in cui siamo stati “chiusi” a casa con la pandemia. Ospitare a casa propria è un bel gesto. L’impegno ad accompagnare l’accoglienza è un fatto notevole. È bello vedere coinvolte le famiglie, che i più piccoli stiano con i bambini ucraini e giochino con loro. I bambini rompono le distanze con più facilità degli adulti. Il coinvolgimento nella solidarietà è rivelatore dei sentimenti profondi del nostro Paese. Del resto non avevamo visto, durante la pandemia, l`impegno di tanta gente generosa?
Si vede che l’Italia non è quel Paese chiuso che le campagne contro i migranti rappresentavano. Gli ucraini in Italia (ne sono già arrivati oltre 72 mila), talvolta, raggiungono amici o parenti già immigrati. Altre volte vengono quasi casualmente. Non sanno bene dove arrivano. Non parlano la lingua. Hanno sofferto e lasciato in Ucraina parte della famiglia, specie gli uomini tra i 18 e i 60 anni. Sono feriti dalla vita e dalla guerra, inquieti sul futuro, spaesati.
Occorre mettersi nei loro panni per accoglierli. Non basta, da parte nostra, essere “buoni” e fieri di dare una mano.
L’aiuto concreto si accompagna al dialogo, con cui man mano cadono le barriere linguistiche e le estraneità (anche culturali) si riducono. Ospitare chiede sensibilità e pazienza nel capire chi si accoglie: storie, dolori, cultura, mentalità.
Quanto resteranno in Italia? Purtroppo l’esito della guerra è imprevedibile. Non qualche giorno!
Decisivo è l’insegnamento dell’italiano. Ma è importante trovare ucraini che possano fare da mediatori culturali e linguistici. La comunità ucraina italiana è molto generosa e motivata. Tanti italiani possono aiutare: non solo ospitando, ma accompagnando, aiutando e stando con i bambini e con gli anziani. Il contatto con questo “popolo” di ucraini, vorrei dire di donne ucraine, fa emergere quell’umanità che molti italiani sanno manifestare in situazioni difficili.
Accogliere è inizialmente una fatica, perché vuol dire sintonizzarsi con l’altro, ma poi diventa una gioia e la soddisfazione di una nuova dimensione di vita. Per la Chiesa, questo movimento di solidarietà è un’occasione preziosa per recepire quel messaggio di accoglienza al rifugiato e allo straniero, così evangelico, che Francesco comunica con forza. Spesso il nostro cattolicesimo è ripiegato su sé stesso, pago delle nostre istituzioni assistenziali o della delega del rapporto con la gente in necessità a organizzazioni o esperti. L’incontro con un popolo sofferente è davvero un segno dei tempi.
Ci rivela la bellezza dell’accoglienza e, allo stesso tempo, l’orrore della guerra. Forse troppi lo hanno dimenticato, considerando la guerra un fatto remoto.
Un orrore che molti fortunatamente non hanno conosciuto, nemmeno da lontano. Il Papa ha scritto nell`enciclica Fratelli tutti: «La guerra è un fallimento della politica e dell`umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male. Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni». Non è quello che sta avvenendo in questi giorni?