Fonte: La Stampa
Il fondatore della Comunità di Sant’Egidio: “Basta bombe a Kiev la gran parte dei profughi andrà in Germania o verrà in Italia”
Cinquecentomila profughi che hanno già lasciato l’Ucraina «sono solo l’inizio», se non si riuscirà a fermare la guerra, e bisogna prepararsi ad accoglierli, perché la maggior parte di loro «andrà in Germania o verrà in Italia».
Andrea Riccardi è allarmato. Il fondatore della Comunità di Sant’Egidio lancia un appello perché si stabiliscano almeno delle regole minime, come il riconoscimento di status di «città aperta» per Kiev, perché «in ogni caso bisogna evitare di combattere nelle città». E – prima di inviare armi all’Ucraina – l’Ue deve fare di tutto per «fermare la guerra», per evitare una escalation che non si sa dove porterebbe.
Come Sant’Egidio voi siete già impegnati in prima linea. Com’è la situazione?
«Siamo in Ucraina, a Kiev e a Leopoli, dove c’è gente che arriva anche da altre parti. Cerchiamo di aiutare ad approntare una prima ospitalità. Ci preoccupa moltissimo per il tema della popolazione ucraina che si sposta e lascia le proprie case. Io e la Comunità di Sant’Egidio abbiamo lanciato un appello che ha già raggiunto seimila adesioni per fare di Kiev una città aperta: l’idea che si combatta a Kiev casa per casa fa orrore, fa paura. Comunque vadano le cose bisogna evitare di combattere nelle città».
I profughi cominciano ad arrivare in Europa. Siamo pronti ad affrontare l’ondata?
«L’Alto commissariato Onu per i rifugiati parla di 500 mila espatriati. Ancora è niente. Noi abbiamo due postazioni, una in Polonia e una in Slovacchia: si stanno organizzando per la prima accoglienza. In gran parte sono donne, bambini, anziani. Non escono uomini in età da servizio militare. Ma ci sono anche stranieri che scappano, uno studente nigeriano, che studiava in Ucraina a Kharkiv, ha attraversato frontiera e viene ospitato in una casa messa a disposizione dai cittadini. Noi creiamo questo legame tra i rifugiati e le case disponibili. E dobbiamo pensare a corridoi umanitari».
La Polonia è in prima linea, ma lei avverte: anche in Italia arriveranno molti profughi.
«Molti ucraini hanno i loro parenti in Polonia come in Italia. Noi siamo convinti che una parte notevole degli ucraini che arrivano in Polonia non si fermerà lì ma andrà in Germania o verrà in Italia. Allora il tema su cui stiamo lavorando è l’accoglienza nel nostro Paese. Registro da un lato l’offerta di molti italiani di ospitare ucraini. Non sto dicendo migliaia, ma ci sono offerte significative. Naturalmente non è facile poi inserire una famiglia, soprattutto donne e bambini. E poi c’è il problema del sostentamento di queste persone, perché la comunità ucraina in Italia è in gran parte composta da persone che lavorano come badanti, non ha grandi possibilità di ospitare in casa».
Bisogna creare strutture di accoglienza?
«Vanno reperite strutture, appartamenti. E bisogna pensare alla sostenibilità della vita quotidiana. È meglio pensarci prima. A tutt’oggi il passaggio alla frontiera è molto lento, ma in caso di evoluzione drammatica del conflitto potrebbe diventare un flusso immenso».
C’è un’ondata emotiva che spinge ad accogliere chi fugge. Ma, per esempio, Matteo Salvini precisa: «Questi sì che scappano da una guerra, non come altri…». Rischiamo di avere migranti di “serie A” e di “serie B”?
«Lei chiede se si faranno distinzioni tra rifugiati bianchi e non, europei e non? Credo di no. Quello che abbiamo constatato è un atteggiamento della popolazione diverso da quello che si dice. Ho visto rinascere in Italia molto forte la spinta a un impegno per la pace, a un interesse per le questioni internazionali. Non si può vivere nel mondo globale senza capire cosa succede».
L’Ue ha annunciato l’invio di armi, un tema che divide anche la maggioranza di governo. Cosa ne pensa? «Questo è un discorso differente rispetto all’accoglienza. Io credo si debba fermare ancora la guerra, imporre il negoziato, perché temo che l’Ucraina possa divenire un terribile campo di battaglia in cui non ci sono vinti né vincitori e in cui paga la popolazione. Penso che bisogna insistere con pressioni diplomatiche, con le sanzioni stesse, perché la guerra non continui. Bisogna ragionare per imporre la pace, altrimenti si innesca un processo che non sappiamo dove finisce. Soprattutto, oggi ci rendiamo conto che manca una politica estera europea comune e una difesa comune. Se ci fosse stato un esercito europeo la storia sarebbe stata diversa. La Russia ci avrebbe pensato due volte. E non abbiamo avuto visione di lungo periodo. La questione è quella dei rapporti tra occidente, Ue – da una parte – e Russia dall’altra. Sia chiaro però: tutto questo non assolve l’aggressione all’Ucraina».