Fonte: Famiglia Cristiana
Per i cristiani la pace è una missione antica: per questo devono ricordare tutti i popoli feriti da violenze e odi. La riflessione di Andrea Riccardi
Non ci sarà purtroppo una tregua di Natale tra Ucraina e Russia. Lo si sperava con forza. Le comuni radici cristiane dei due popoli, nati con il battesimo di Rus e a lungo vissuti nella comunione della stessa Chiesa ortodossa, avrebbero dovuto favorire questo passo. Così la guerra rischia di essere senza fine. Il Natale, per i cristiani, parla di pace.
La più forte espressione del male è la guerra. Eppure domina i nostri giorni. Non è solo in Ucraina. Il conflitto ucraino coinvolge noi europei per la vicinanza geografica e per i profughi che sono tra noi.
Ci sono tante altre guerre nel mondo: ben 23 conflitti ad alta intensità attivi, cui vanno aggiunte altre situazioni di aperta o latente tensione. Nel Nagorno-Karabakh, armeni e azeri vivono una pericolosa tensione dopo gli scontri che hanno costretto l’Armenia al ritiro da una parte della regione. Gli azeri hanno bloccato le forniture di gas e i collegamenti stradali con l’Armenia. La Turchia prepara un intervento contro i curdi in Siria, accusandoli di complicità in un attentato a Istanbul: che ne sarà di loro, dopo che hanno resistito a Daesh?
Del resto la Siria non ha pace da più di dieci anni, nonostante nelle maggiori città ci sia ormai più sicurezza. Ci sono ragazzi che hanno conosciuto nella loro vita solo la guerra, scoppiata nel 2011 e mai conclusa. In questo mondo globale dalle tante interferenze politiche e dalle armi potentissime, spesso i conflitti non finiscono. La pace, una volta perduta, è difficile da riconquistare. Lo sa lo Yemen, campo di battaglia tra gli Houti, sciiti sostenuti dall’Iran, e i sunniti, appoggiati militarmente dall’Arabia Saudita dal 2015. Proliferano i gruppi jihadisti e altre forze militari. Il mondo ignora il dolore degli yemeniti lacerati tra scontri armati, mine inesplose e fame, molta fame. La situazione è di stallo, mentre tanta parte del Paese (patrimonio artistico compreso) è stata oramai distrutta.
Le guerre distruggono l’umanità: gli esseri viventi, la loro storia, la loro cultura. Penso al Tigray, una terra meravigliosa per le sue memorie cristiane: le truppe etiopi combattono con i tigrini assieme agli eritrei e a truppe di vari gruppi etnici etiopici. Intanto l’Etiopia si disfa, l’unico Paese africano dalla lunga storia indipendente, un baluardo nelle relazioni internazionali del continente. Il Corno d’Africa è un’area di pericolosa instabilità. La Somalia, uno Stato fallito, è abbandonata a una violenza senza fine: prima di tutto quella degli islamisti radicali di Al-Shabaab. L’islamismo radicale è al centro di tante crisi: nel Mali, in Burkina Faso e in altri Paesi. Non è soltanto una questione religiosa, ma la violenza fondamentalista si sviluppa sul terreno dei conflitti etnici e sociali. È quello che succede nel Nord del Mozambico, che quest’anno ha festeggiato i 30 anni della pace riconquistata nel 1992. Oggi dal Nord quasi 800 mila mozambicani sono fuggiti dalla minaccia terrorista.
A questo “viaggio” nel dolore delle guerre nel mondo mancano tante altre situazioni. A Natale, però, i nomi dei Paesi e delle terre in guerra devono essere ricordati.
Un cristiano non avrà pace finché il mondo non è in pace. Stiamo vivendo – dice papa Francesco – una «guerra mondiale a pezzi». Con la preghiera, la memoria, l’azione, ognuno può fare qualcosa. Perché si realizzi la parola di Isaia, letta nella liturgia della notte di Natale: «Ogni calzatura del soldato che marciava rimbombando / e ogni mantello intriso di sangue / saranno bruciati…!».
I cristiani del nostro secolo, eredi del Novecento che ha conosciuto immani stragi, guerre e la Shoah, hanno una particolare sensibilità per la pace: è una missione antica. Clemente di Alessandria insegnava: i cristiani sono eirenikon genos, stirpe pacifica. Popolo di pacifici che ricorda al mondo che la pace è sempre possibile e soprattutto doverosa.