Fonte: Avvenire
La beatificazione di Giovanni Paolo II ripropone la sua figura con una luce particolare: la sua santità vissuta in una vita complessa. Karol Wojtyla non è solo un personaggio della storia ecclesiastica, ma un protagonista della storia "civile": un grande personaggio del Novecento. La sua biografia incrocia molti problemi cruciali del secolo passato. Ma lui, fin da giovane, ha cercato soprattutto di essere santo. Talvolta si pensa al santo come qualcuno fuori dalla storia. Invece Wojtyla è stato piantato in mezzo alla gente, tra le questioni drammatiche del suo tempo. Un lottatore per il Vangelo e per l’"uomo" (non è retorica usare il termine uomo per un Papa personalista). È stato la personalità più nota della Chiesa cattolica nel Novecento. L’allora cardinale Ratzinger, con acuta sensibilità, ne ha parlato come del leader che ha incontrato il maggior numero di persone. Molti contemporanei lo hanno visto o incontrato. Ma è stato una presenza anche per chi non lo ha mai sfiorato.
Ogni santo ha il suo segreto. Papa Wojtyla, tanto aperto agli altri, era però riservato. Viveva un’intensa preghiera. La nutrivano l’amore per Gesù – recitava ogni venerdì la Via Crucis -, la lettura dei Vangeli e della Bibbia, la tenerezza per Maria. La sua era anche una preghiera geografica, in cui si spostava idealmente da un luogo all’altro, facendosi carico dei dolori del mondo. L’amore per il Vangelo diventava in lui passione – è il termine giusto – per comunicarlo. A chi gli chiedeva quale fosse la sua maggiore preoccupazione, disse: «Pensare agli uomini che non conoscono ancora Gesù Cristo». Per lui il mondo aveva bisogno della fede per non diventare «un’umanità senza Padre, e per conseguenza senza amore, orfana e disorientata, capace di continuare ad uccidere gli uomini che non considera fratelli…».
Non era un Papa politico. Ma la sua passione evangelica toccava i cuori della gente e rianimava i popoli. Così toccava in profondità la storia con effetti di vario tipo. L’attentato quasi mortale del 1981 mostrò che scuoteva troppo la storia urtando interessi forti. Lo vollero eliminare. Forse non si saprà mai bene il retroscena dell’attentato, anche se la pista comunista (attraverso alcuni ambienti turchi) è la più accreditata. Il Papa sapeva di essere minacciato. Non fece un passo indietro. Era consapevole che la Chiesa, nel Novecento, era tornata una comunità di martiri, come proclamò al Colosseo nel maggio 2000. Un santo può scuotere la storia? Con Giovanni Paolo II, la santità ha fatto la storia e cambiato gli uomini. Uno spirituale russo, Silvano del Monte Athos, afferma: «Per il solo fatto che essi esistono… i santi fanno scendere sulla terra, sull’intera umanità, una grande benedizione».
Giovanni Paolo II ha fatto scendere una grande benedizione sui cristiani dell’Est, riaccesisi alla speranza; su quelli occidentali, stanchi e rassegnati; su quelli del Sud, che si sentivano dimenticati. Sull’umanità, grazie a lui, è scesa una benedizione di pace. Lo hanno colto quanti erano coinvolti dalla guerra, come i musulmani nella ex Jugoslavia o in Iraq. Lo si è visto ad Assisi nel 1986, quando il Papa ha raccolto i leader religiosi in nome della pace. Dopo la beatificazione dobbiamo divenire più in profondità familiari di questo papa e capire meglio la portata della sua benedizione.
Molti hanno un ricordo di lui: una parola, un fotogramma. Ma non si può ritagliare papa Wojtyla in un santino. Bisogna conoscerne la storia personale, avvincente e intricata (com’è stato il secolo trascorso). La sua storia è un intreccio delle vicende del nostro tempo con la presenza della forza dello spirito. Giovanni Paolo II è stato un santo complesso, figlio di un tempo drammatico, globale, contraddittorio. È una figura semplice nella profondità della sua fede, ma ricca di chiaroscuri, perché nostra contemporanea.
Benedetto XVI ha deciso, in tempi rapidi, di beatificarlo: la sua santità contemporanea parla ai nostri giorni. Giovanni Paolo II è il Papa del Concilio Vaticano II, iniziato dal beato Giovanni XXIII. È stato padre conciliare, ma soprattutto ha voluto «servire questa grandissima causa [il Vaticano II] nel corso di tutti gli anni del mio pontificato», scrive nel testamento. Le future generazioni leggeranno il Concilio assieme al beato Giovanni Paolo II, perché il Vaticano II e il suo pontificato stanno insieme.
Papa Wojtyla parla agli uomini alle donne di oggi, tentati dalla rassegnazione e dalla paura. Ricorda che non bastano parole o strutture. Ci vuole fede, perché rinasca la speranza e si spostino le montagne che ingombrano la vita e la storia. Benedetto XVI mi ha detto sul suo «amato predecessore»: «Egli, fin dall’inizio del suo pontificato, parlava di un nuovo Avvento. Sperava che, nella storia, si affermasse un tempo di gioia del cristianesimo». Nella sofferenza sua e della sua storia, era maturata in lui «la forza di sperare».
Padre Turoldo lo chiamò «vento di speranza». La forza di sperare di Karol Wojtyla, radicata nella sua santità, non è un eroismo inaccessibile di una personalità lontana: è qualcosa che vive nella sua Chiesa ed è offerto a tutti.