Fonte: Famiglia Cristiana
La città di san Francesco fa memoria degli orrori e sprona l’Europa a vigilare sulle nuove radici dell’odio. Il commento di Andrea Riccardi, presente alla cerimonia
Si è tenuta ad Assisi una cerimonia toccante: il conferimento della cittadinanza onoraria per la pace a 16 sopravvissuti italiani alla Shoah. La cerimonia è stata molto significativa nella città di san Francesco, che è divenuta sempre più la città della pace. La radice evangelico-francescana fa di Assisi uno spazio di incontro con l’altro. È la grande eredità della Preghiera interreligiosa per la pace, voluta da Giovanni Paolo II nell’ottobre 1986, con la presenza dei leader delle Chiese cristiane e delle religioni mondiali. Assisi, proprio perché luogo dove nessun incontro è impossibile, è città della pace. E questo nostro mondo ha bisogno di pace, anche se la coscienza di questo bisogno si è troppo attutita, fino ad accettare i conflitti aperti e l’uso delle armi per risolvere i problemi tra gli Stati. Pace vuole dire convivenza e rispetto di tutti i popoli.
Non è retorica. È il messaggio di Francesco. È il bisogno del mondo di oggi che il Papa ha scritto a chiare lettere nella sua ultima enciclica Fratelli tutti.
La cittadinanza ai sopravvissuti italiani della Shoah è un omaggio a donne e uomini che, umiliati, hanno tanto sofferto e sono stati uccisi, perché ebrei. Perché Hitler e il nazismo, nella loro follia, fatta implacabile sistema, volevano che gli ebrei scomparissero dall’Europa: così si sarebbe affermato il dominio della razza superiore, ariana e germanica. È stato l’evento più tragico del Novecento: donne, bambini, uomini, anziani uccisi sistematicamente e senza motivo.
Non lo si può dimenticare: la nostra Europa di pace e di democrazia parte da Auschwitz, perché è esattamente il contrario di quel che è successo lì. L’onore ai sopravvissuti, che la sindaca di Assisi, Stefania Proietti, ha voluto rendere, è memoria dei tanti caduti, ma è anche un gesto di affetto nei loro confronti. Questi, nel mezzo dell’inferno, hanno resistito alla morte e, dopo la guerra, hanno testimoniato un orrore inimmaginabile. Come, allora, spiegare che ancora oggi ci sono espressioni di antisemitismo in Europa, se non con la follia nazionalista e con una smemoratezza incosciente?
Tatiana Bucci, presente ad Assisi, è stata deportata ad Auschwitz nel 1944 con la sorella Andra: quattro anni quest’ultima, sei la prima. Vanno nel blocco dei bambini destinati alle più atroci sperimentazioni sotto la guida del medico Mengele, detto “l’angelo della morte”, che prediligeva i gemelli, ebrei o rom.
Ad Auschwitz-Birkenau sono deportati più di 230 mila bambini, di cui pochi sopravvivono. Sembrano darsi convegno i demoni dell’Europa: nazionalismi, totalitarismi, odio, razzismo, antisemitismo, violenza fatta sadismo, odio per l’umano, l’inferno in terra.
Da qui poteva cominciare un nuovo mondo di pace. Così non è stato. O è stato solo in parte. Ricordare ad Assisi la Shoah è memoria di una storia, ma anche proiettarsi in avanti in modo rinnovato: creare un nuovo mondo di fraternità tra i popoli, ma anche vigilare sulle radici dell’odio.
Diceva Settimia Spizzichino, unica donna ritornata dalla razzia degli ebrei romani: «I lager nazisti sono stati l’apice, il coronamento del fascismo in Europa, la sua manifestazione più mostruosa; ma il fascismo c’era prima di Hitler e Mussolini, ed è sopravvissuto. In tutte le parti del mondo, là dove si cominciano a negare le libertà fondamentali e l’uguaglianza fra gli uomini, si va verso il sistema concentrazionario, ed è una strada su cui è ben difficile fermarsi».