Fonte: Famiglia Cristiana
Investì cifre enormi per alleviare le sofferenze dei popoli, al di là delle loro fedi e nazionalità. Avanzò proposte concrete: prima tra tutte la riduzione delle spese militari. I politici del tempo non gli diedero ascolto, proprio come accade ai nostri giorni.
Cent’anni fa moriva Benedetto XV. Un suo biografo, John F. Pollard, lo definisce Il papa sconosciuto. Infatti chi lo ricorda più? Ha avuto un papato breve: dal 1914 al 1922. Oltre a Giovanni Paolo I, solo Giovanni XXIII ne ha avuto uno più corto del suo nel secolo scorso, ma è legato indissolubilmente al più grande evento della Chiesa del Novecento, il concilio Vaticano II.
Eppure, rileggere la figura di Benedetto XV è significativo nel periodo complicato in cui stiamo vivendo. È stato il Papa del primo conflitto mondiale, per vivere poi i difficili anni del dopoguerra, morendo nell’anno dell’avvento del fascismo.
Oggi è importante tornare a riflettere sulla guerra e chiedersi che cosa la Chiesa e i cristiani possono fare per la pace. Infatti non abbiamo raggiunto la pace, che speravamo realizzarsi dopo 1’89 con la globalizzazione. Alcuni studiosi di geopolitica sostengono che siamo in un’epoca di unpeace (che vuol dire “che disfa la pace”): «come in un piano inclinato in cui si pensa che l’unico atteggiamento da avere sia quello bellicoso». La guerra 1914-18 nasce proprio in un’Europa irresponsabile che disfa la sua pace e scivola inesorabilmente verso il conflitto.
Benedetto XV definisce in modo insuperabile la guerra nella Nota alle potenze belligeranti dell’agosto 1917: «Questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno più, apparisce inutile strage». È un documento diplomatico in cui si fanno con coraggio proposte per la pace, anche toccando questioni controverse; ma soprattutto è un testo che insiste sull’urgenza della fine della guerra. Il Papa aveva colto come la guerra tra europei stesse distruggendo il continente: «L’Europa, così gloriosa e fiorente, correrà, quasi travolta da una follia universale, all’abisso, incontro ad un vero e proprio suicidio?», si chiedeva. La Prima guerra mondiale e la pace dopo la sua fine sono, in buona parte, alla radice della guerra successiva, un vero “suicidio” dell’Europa.
L’«inutile strage» è sempre un suicidio: la lezione resta valida fino a oggi. Benedetto XV è un diplomatico di alta scuola vaticana, ma è stato anche arcivescovo di Bologna dal 1908 all’elezione a Papa. Nel suo approccio misurato alla vita e alle persone, ha una sensibilità profonda ai dolori della gente. Sa come la guerra sia l’esperienza peggiore che l’umanità possa fare.
Per lui, tra i sofferenti, non c’è distinzione di nazionalità. Dall’osservatorio del Papa, i popoli in guerra sono parte di un’unica famiglia umana. Così dà un grande impulso all’azione umanitaria della Santa Sede: per i prigionieri di guerra (corrispondenza, ricerca degli scomparsi, rimpatrio dei malati) e le popolazioni alla fame o in gravi difficoltà. In quest’azione investì una cifra enorme, 82 milioni di lire, che portò il Vaticano quasi al collasso economico.
In guerra emerge tutto il male possibile. Ne è prova che, durante il conflitto mondiale, nell’Impero ottomano avvenne il primo genocidio del XX secolo: la strage di ben più di un milione di armeni (e con loro altri cristiani: siriaci, assiri, caldei). Molti sono i passi diplomatici del Papa per impedirla, finché nel 1917 scrive personalmente al sultano, Maometto V: «Ci giunge l’eco dei gemiti di tutto un popolo, il quale nei vasti domini ottomani è sottoposto a inenarrabili sofferenze». Non parla solo per i cattolici (come era allora tradizione), ma per tutti i cristiani: «Insistere presso il governo ottomano perché cessino persecuzioni armeni», si telegrafa dal Vaticano al proprio rappresentante a Istanbul.
Benedetto XV, dopo la guerra, nel 1920, emana la prima enciclica sulla pace, Pacem Dei munus, chiedendo di sopire «gli odi e le inimicizie» senza cui nessun trattato di pace può reggere. Le spese militari vanno ridotte, se non abolite, mentre il dialogo e l’arbitrato devono appianare i conflitti. Egli auspicava che gli Stati «si riunissero in una sola società, o famiglia di popoli, sia per garantire la propria indipendenza e sia per tutelare l’ordine del civile consorzio».
In questo testo di più di cent’anni fa si sente la stessa convinzione di papa Francesco, espressa nell`enciclica Fratelli tutti: «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male». Oggi, come allora, la guerra appare come il grande nemico dell`umanità. Purtroppo, troppi non se ne accorgono.