Fonte: Famiglia Cristiana
La pace è questione di bruciante attualità. Le recenti esplosioni di violenza rivelano la rabbia che cova in tante crisi. Gli attacchi contro i cristiani mostrano un odio insensato. La pace è responsabilità degli Stati e della comunità internazionale. Ma non basta. Lo intuì lucidamente Giovanni Paolo II nel 1986, quando Stati Uniti e Urss monopolizzavano le sorti della pace.
In piena Guerra fredda, convocò ad Assisi i leader delle grandi religioni per pregare per la pace. Respinse violenze e guerre in nome di Dio (che avrebbero insanguinato i decenni successivi); invitò a far emergere «il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace». Fu un evento, definito profetico da Benedetto XVI, che ha annunciato la volontà di tornare ad Assisi nell'ottobre 2011, dopo 25 anni da quell'incontro, per rinnovare «l'impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace».
È un segno umile e chiaro sui turbolenti orizzonti (grandi e piccoli) del nostro mondo. Giovanni Paolo II voleva che la giornata di Assisi fosse una proposta di pace: «Abbiamo riempito i nostri sguardi», disse, «con visioni di pace: esse sprigionano energie per un nuovo linguaggio dí pace, per nuovi gesti di pace, gesti che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia». Fece un invito: «La pace… è un cantiere aperto a tutti e non soltanto agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi». Il suo sogno era che da Assisi partisse un movimento spirituale per coinvolgere i mondi religiosi sulla pace, la preghiera e il dialogo: me lo ha detto parecchie volte, stimolando la Comunità di Sant'Egidio perché continuasse quegli incontri.
Ricordo le sue parole: «Grazie a voi, lo spirito di Assisi non è finito!». Queste parole sono sempre un impegno. Oggi, dopo un decennio segnato dal terrorismo e dalla cultura della guerra, la visione di Giovanni Paolo II resta attuale e profetica. C'è un'ineliminabile dimensione spirituale della pace: «Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio», ha ricordato Benedetto XVI.
Il gesto di papa Wojtyla fu equivocato da chi pensò che intendesse relativizzare le differenze tra le religioni o che volesse ridurre la Chiesa a un'agenzia al servizio dell'Onu delle religioni. Niente di più lontano da un Papa, innamorato di Cristo e del Vangelo, che aveva esortato a non avere paura. Ma egli era consapevole che «non si può avere la pace senza la preghiera». Per lui la guerra era una dimensione "infernale" della storia e disumanizzava gli uomini. La sua proposta ritorna ancora oggi: l'unità tra gli uomini e i popoli «proviene dal fatto che ogni uomo e ogni donna sono capaci di pregare». La pace è responsabilità di tutti, a partire dalla preghiera e in ogni azione della vita.