Fonte: Huffington Post
I gravi attentati che hanno colpito Giacarta riguardano da vicino tutti noi. Anche se pochi se ne sono accorti finora in Occidente, l’Indonesia rappresenta oggi un Paese fondamentale non solo per la tenuta di una convivenza possibile fra le etnie e le religioni, ma anche per la democrazia. Si tratta infatti, come popolazione, della nazione “più musulmana” del mondo, con un Islam ben rappresentato, radicato nella vita e nella cultura dei suoi abitanti, ma con un’importante scelta per il pluralismo radicata nella sua storia, dall’indipendenza fino ad oggi.
Oggi infatti l’Indonesia, con i suoi 250 milioni di abitanti, è, di fatto – insieme a nazioni come India e Stati Uniti – una delle più grandi democrazie del mondo. Basta pensare al fatto che lo Stato indonesiano si fonda sul Pancasila, cinque principi che, partendo dal presupposto di una fede condivisa in Dio, indicano nella tolleranza e nel dialogo tra tutte le componenti della società, la base per costruire il suo progresso. E le minoranze, tra cui quella cristiana, convivono in uno spirito di sostanziale collaborazione e rispetto, per scelta anche delle due più grandi associazioni islamiche presenti, la Muhammaddiyah e la Nadhlatul Ulama, che insieme arrivano a raccogliere quasi 100 milioni di persone. Ho visitato recentemente l’Indonesia, effettuando diversi incontri con alcune tra le più significative personalità, sia religiose che istituzionali, e posso testimoniare il loro convinto impegno per la promozione di un Paese pluralista e democratico nel quadro di una coerenza alla propria fede.
L’esercizio del dialogo che si è sviluppato tra le religioni e la società civile è già riuscito a superare momenti difficili. Come quando, nel 1999, alla fine del lungo regime di Suharto, le tensioni interetniche si erano intensificate pericolosamente. O come nel 2001, subito dopo gli attentati alle Torri Gemelle. L’estremismo ha scelto, come ha fatto in passato a Bali, di seminare terrore in questo Paese, colpendo il cuore della sua capitale. Attentati che hanno avuto luogo in zone centrali, frequentate da tutti. Oggi, la sfida è il terrorismo globale. L’obiettivo è quello di fare paura ad un Islam che ha preso ormai da tempo la strada di una contribuzione attiva al consolidamento delle istituzioni democratiche. Si colpisce la cultura del dialogo, della coesistenza pacifica. Per questo siamo colpiti tutti.
Ma oggi, ancora più di ieri, esiste un ampio fronte favorevole alla convivenza e al dialogo, nella grande maggioranza dei musulmani indonesiani, che va sostenuto. A partire dalla necessaria solidarietà della comunità internazionale: troppo a lungo abbiamo ignorato che questo grande Paese, che può rappresentare, nel mondo islamico, una “best practice”, che coniuga sviluppo economico, democrazia e coesistenza interetnica e interreligiosa.
È interessante sapere che proprio per domenica 17 gennaio era stata indetta a Giacarta una grande manifestazione in favore della tolleranza e del dialogo con la partecipazione di tutte le confessioni religiose indonesiane (anche i cristiani che sono una voce autorevole nel Paese) per dire “no” a qualsiasi violenza compiuta nel nome della fede. E per difendere da ogni minaccia – che era anche arrivata nelle ultime settimane – ai principi plurali del Paese. In queste ore difficili, diventa ancora più significativa, perché espressione di quanto il popolo indonesiano – musulmani per primi – intenda proteggere la propria identità, il principio di “unità nella diversità” che fa di questa nazione un’importante risorsa per l’ecologia culturale e politica del nostro tempo (fonte: Huffington Post (il blog di Andrea Riccardi))