Fonte: Famiglia Cristiana
Ha mostrato una Chiesa non verticistica, con i cristiani di diversi Paesi in pieno dialogo. Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana
Si è conclusa un’Assemblea del Sinodo dei vescovi molto particolare rispetto alle altre che l’hanno preceduta, dall’istituzione di questo organo da parte di Paolo VI nel 1965 in risposta a un desiderio espresso dai padri conciliari del Vaticano II. Questa volta il Sinodo ha avuto una “forma” differente: non più assemblea di vescovi (con qualche personalità in più), ma convocazione di vescovi, laici, religiose e religiosi, sacerdoti, in forza del loro Battesimo, al termine di un processo che ha coinvolto diocesi, Chiese nazionali e continentali.
In questo Sinodo ha avuto molto spazio la preghiera e il vicendevole ascolto anche attraverso una metodologia nuova, che valorizzava lo scambio interpersonale con interventi brevi e una disposizione a tavoli rotondi, non da aula parlamentare. Tuttavia, ci si potrebbe chiedere se questo tipo di Sinodo non abbia corso il rischio del ripiegamento della Chiesa sulla sua dimensione interna, lasciando da parte il grande tema, proposto da papa Francesco con l`Evangelii gaudium, della Chiesa in uscita. Il periodo in cui si è svolto l’assise è stato peraltro drammatico per le guerre che continuano, come quella in Ucraina, che, oltretutto, lacera il mondo ortodosso, ma anche per il brutale attacco di Hamas a Israele con la conseguente guerra del Governo di Tel Aviv a Gaza.
Che dice la Chiesa a questo mondo che rischia una nuova guerra mondiale? La missione della Chiesa è stato un aspetto decisivo emerso nei dibattiti sinodali: più che attraverso importanti relazioni, sostenute da un pensiero articolato, tramite molti interventi in cui si è espressa l’esperienza di tanti cristiani. È stata una scelta del Papa.
Il “mondo” non è stato assente e la Chiesa del Sinodo non vuol essere chiusa, ripiegata e spaventata nei confronti della realtà. Tuttavia, essa dev’essere più popolo e più comunità, proprio in un tempo segnato dall’individualismo estremo, in cui tanti “noi” si sono dissolti. Dev’essere meno istituzione, anche se l’istituzione è importante e un popolo non vive senza le sue istituzioni.
La “forma” del Sinodo dice molto anche del suo messaggio: «Un’esperienza senza precedenti», si legge nella lettera rivolta al popolo di Dio al termine dei lavori. Questa esperienza non può essere una parentesi romana ma deve comunicarsi nelle Chiese locali.
Qui c’è la prova della via sinodale. Tocca il modo di vita, la maniera in cui si prendono decisioni, l’importanza di ascoltarsi vicendevolmente, il modo in cui si legge e si affronta la realtà. Il verticismo, retaggio del passato ma anche frutto della gestione di “uomini soli” (il clericalismo di cui parla sempre criticamente Francesco), deve lasciare il passo a una comunità che vive responsabilmente la sua missione nel mondo. È un’utopia?
Sicuramente tutto non cambia in un giorno, ma è una tensione evangelica che crea comunione e spirito di servizio tra i cristiani. Una Chiesa verticistica finisce per essere ripiegata. Una Chiesa comunione è, di per sé, aperta a tutti e in missione.
Una Chiesa comunione, in cui non si allargano le fratture e non si persegue l’individualismo, è una significativa risorsa di pace per un mondo segnato dai conflitti. Cristiani del Nord e del Sud del mondo, figli e figlie di antiche Chiese e di Chiese di recente evangelizzazione, donne e uomini, chierici e laici, cittadini di Paesi diversi sono stati un segno di unità dei popoli del mondo.