di Andrea Riccardi
Fonte:
Avvenire
Il discorso di papa Francesco all’Onu ha una storia alle spalle. Francesco si ricollega esplicitamente alla prima visita di un Papa al Palazzo di Vetro, quella compiuta da Paolo VI il 4 ottobre 1965, quando gridò: «Jamais plus la guerre! Mai più la guerra!».
Era la speranza della Chiesa di Roma a vent’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale e nel cuore della guerra fredda. Una speranza che non avrebbe ceduto di fronte ai tanti conflitti scatenatesi fino al 1989 e poi nel mondo globale (tanti, ancora aperti, quelli ricordati da Francesco). Nel 1965 molti consigliarono a Paolo VI di presentarsi all’Onu come «maestro di verità», di legge naturale o di civiltà. Lui scelse, invece, di qualificare sé e la Chiesa con un’immagine umile, ma densa di significato: «esperti di umanità». Nel suo discorso, Montini aveva scritto (fu poi cancellato): «Noi siamo antichi».
L’esperienza di umanità della Chiesa ha una lunga storia. Come Paolo VI, Francesco da «esperto di umanità» ha ricordato: senza spirito non c’è pace. Ha citato il suo predecessore: «L’edificio della moderna civiltà deve reggersi su princìpi spirituali…».
Il Papa ha ribadito la necessità delle Nazioni Unite: che sarebbe il mondo senza l’Onu? – si è chiesto. I poteri – noti e occulti – porterebbero a «tremende atrocità». Ma l’Onu deve essere all’altezza della sua missione, non burocratico, capace di rispondere al bisogno di pace e giustizia, deciso e in grado di limitare anche «l’asfissiante sottomissione… a sistemi creditizi nei confronti dei Paesi in via di sviluppo». Nella sua legittimazione dell’Onu, il Papa ha sviluppato molto l’idea di giustizia, come cuore di una vita internazionale basata sulla «fraternità universale»: un grande tema, spesso ridotto al giustizialismo.
La giustizia non può attendere. Il mondo la reclama. Francesco, in modo concreto ha indicato un «minimo assoluto» di giustizia, per far vivere una famiglia: «Casa, lavoro e terra». Senza questo minimo, non c’è vita. E ha aggiunto «la libertà dello spirito» (che comprende quella religiosa e educativa). Questi diritti non si vivono da soli, ma «in comunione con gli altri esseri umani». A fronte di una globalizzazione che crea ed esalta individui soli, il papa sottolinea ancora una volta il valore delle relazioni, della «socialità umana». Questa testimonianza viene dal profondo della Chiesa, che è comunione e che sa come non ci si salva da soli. “Nessun uomo è un’isola” è il titolo di un noto libro di quel Thomas Merton che papa Francesco ha ricordato al Congresso degli Stati Uniti d’America.
L’uomo e la donna non sono nemmeno separati dall’ambiente. Il Papa ha parlato di un «diritto dell’ambiente», anche perché «qualsiasi danno all’ambiente… è un danno all’umanità». I poveri, che sono scartati e vivono di scarti, sono le principali vittime della violenza all’ambiente. Le parole del Papa all’Onu hanno fatto sentire la voce dei poveri e i gemiti della creazione in quell’intreccio che Francesco propone. In tale prospettiva il Papa ha levato il suo grido contro la guerra, mezzo secolo dopo Paolo VI.
Ha ricordato le «conseguenze negative di interventi politici e militari non coordinati tra i membri della comunità internazionale»: questa è esperienza storica. Ha citato i conflitti aperti, ha sottolineato la persecuzione dei cristiani e delle altre minoranze. Ma anche la «guerra diffusa», troppo ignorata, del narcotraffico. E quanti altri comportamenti violenti! La tratta delle persone, il traffico delle armi, lo sfruttamento infantile: tutti prodotti d’un consolidato clima di violenza.
Di fronte a questi aspri scenari, Francesco ha ribadito la necessità di scelte e politiche controcorrente, ispirate alla fraternità universale e alla sacralità della vita. In maniera semplice ma innovativa, ha indicato le categorie più colpite: poveri, anziani, bambini nati e non nati, ammalati, disoccupati, abbandonati e scartati di ogni tipo… La voce di quest’umanità dolente – non solo “casi” sociali, morali o politici – ha dato forza alle parole del Vescovo di Roma. Perché l’esperienza umana della Chiesa è quella del dolore di tanti, di troppi, che non possono più attendere.