Fonte: Corriere della Sera
Le visite dei papi al Quirinale sono state sempre momenti significativi, a partire da quella di Pio XII a re Vittorio Emanuele III nel 1939. Sembrò sorprendente, nonostante la Conciliazione del 1929, che un papa ritornasse nella dimora lasciata da Pio IX nel 1870 e divenuta reggia dei Savoia. Pio XI aveva ricevuto il re in Vaticano, ma non si recò mai al Quirinale. Pio XII, in quel tragico 1939, lavorava perché l'Italia restasse fuori dal conflitto mondiale. Era lo scopo di un passo inedito. Ma Mussolini non andò al Quirinale. Bisogna aspettare papa Giovanni per ritrovare, con serenità, un Pontefice nel Quirinale, non più reggia, ma «casa comune di tutti gli italiani » (come l'ha chiamata Giorgio Napolitano con bella espressione). Pure Paolo VI si è recato al Quirinale (lui che, nei viaggi, non visitava mai le sedi dei capi di Stato). Sono seguite tre visite di papa Wojtila e due di papa Ratzinger. Ormai il papa visita ogni presidente al Quirinale. Negli anni della Repubblica, queste visite si sono collocate in due diversi scenari politici. Il primo, con un grande partito cattolico, era quello di una laicità particolare, in cui gli uomini della Dc – talvolta con decisione e sempre con ossequio – gestivano direttamente i rapporti con il Vaticano e il mondo cattolico, che rappresentavano politicamente. Se Arturo Carlo Jemolo parlava di «regime clericale», oggi si rivaluta la laicità di quegli anni, a partire da De Gasperi, senza dimenticare Pantani e Moro. Dopo la fine della Dc si profila un'altra stagione: i vertici della Cei, con la presidenza del cardinale Ruini, hanno assunto una rappresentanza più marcata del cattolicesimo nel contatto con la politica e, in particolare, con Berlusconi che sembrava meglio garantire interessi e valori della Chiesa. Il presidente Luigi Scalfaro, un cattolico al Quirinale dal 1992 al 1999, fu assai critico verso questo orientamento. Ormai questo scenario si è consumato, già dagli ultimi tempi di Benedetto XVI. Grandi cambiamenti sono avvenuti sulla scena politica (tra cui la crisi del berlusconismo). E papa Francesco ha inaugurato un nuovo scenario anche nel rapporto con l'Italia. La visita di papa Francesco è molto significativa, perché ha rappresentato un'espressione matura di un rinnovato orizzonte di relazioni tra la Chiesa e la società italiana.
Il papa, così poco monarca e poco addossato alla politica, ha ribadito l'interesse peculiare della Chiesa e suo per l'Italia. Ha confermato, parlando al Quirinale, il quadro tradizionale (sereno dei rapporti tra le due rive del Tevere, ma ha anche manifestato il senso simbolico della visita al palazzo del presidente: «Vorrei idealmente bussare alla porta di ogni abitante di questo Paese, dove si trovano le radici della mia famiglia terrena, e offrire a tutti la parola risanatrice e sempre nuova del Vangelo». Gli italiani sono importanti per il papa. Egli li guarda con gli occhi del vescovo di Roma e del primate d'Italia. L'Italia credente e quella laica gli interessano. Viene al Quirinale come un grande leader religioso, ma anche come un vescovo del nostro Paese. Il papa resta un evangelizzatore, che non vuol dire qualcuno che fa proselitismo, ma un testimone del Vangelo e un uomo di dialogo. Nell'accoglierlo, Giorgio Napolitano ha dato un rilevante saggio della laicità italiana. Le sue parole hanno illustrato la simbolicità della visita (non rituale). Il messaggio va al di là della contingenza e resta un'acquisizione per la storia repubblicana. Il presidente ha parlato di «rapporti essenziali» tra l'Italia, la Chiesa e la Santa Sede, radicati nella Costituzione repubblicana (e la sua particolare recezione della Conciliazione). Ha espresso grande considerazione per l'impegno dei cattolici italiani per i poveri, nella lotta contro quei «mali estremi» – ha detto – «da un lato la disperante condizione dei giovani privi di lavoro, che vengono come "schiacciati sul presente", e dall'altro la solitudine in cui vengono lasciati i vecchi».
Ma la Chiesa per Napolitano non è solo un importante agente sociale. Il presidente ha parlato del messaggio del papa come fonte d'ispirazione civile: «Quanto siamo lontani nel nostro Paese da quella "cultura dell'incontro" che Ella ama evocare, da quella Sua invocazione 'Dialogo, dialogo, dialogo"». Ne ha tratto insomma una lezione laica per la classe politica: «E tempo di levare più in alto lo sguardo, di riguadagnare lungimiranza e di portarci al livello di sfide decisive che dall'oggi già si proiettano sul domani», ha detto a una politica stanca e rissosa. La laicità italiana, fondata sulla distinzione tra lo Stato e la Chiesa, è anche un'originale circolazione di idee e valori, costitutiva di quella cultura del – l'incontro che esprime il meglio dell'Italia. Così l'abbiamo vista ieri al Quirinale, raramente la troviamo nella cronaca politica.