di gigasweb
Fonte:
Avvenire
Non si può leggere la guerra attraverso lo schermo delle notizie o i calcoli politici. Bisogna prima di tutto guardare in faccia gli uomini e le donne travolti dalla guerra. L'ha fatto ieri Papa Francesco, di fronte ai cimiteri di guerra di Redipuglia (italiano) e di Fogliano (austro-ungarico). Ha osservato la sterminata distesa di tombe della prima guerra mondiale: «Tutte queste persone, che riposano qui, – ha detto- avevano i loro progetti, avevano i loro sogni…, ma le loro vite sono state spezzate». Sì, ogni caduto era un sogno per il futuro. Gli è stata rubata la vita. Questa è la guerra: "«La guerra non guarda in faccia nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà…». Per capirla, bisogna partire da queste esistenze spezzate. Si attribuisce a Stalin (forse a torto) una frase, emblematica dell`atteggiamento di molti di fronte alla guerra: «Un morto è una tragedia, un milione di morti una statistica». Così nel mondo globale, di fronte ai conflitti (e a tante morti), si reagisce spesso con un`indifferenza sazia d`informazioni e d`impotenza.
Cè un`evidente caduta dello sdegno verso la guerra e della partecipazione alle vicende dei popoli lontani. È la «globalizzazione dell`indifferenza» di cui il Papa ha parlato a Lampedusa. Il pellegrinaggio di Francesco sui cimiteri della Grande Guerra, a cent`anni dal suo inizio, richiama alla memoria storica. Non si può dimenticare quello che fu, secondo l`acuta espressione di Benedetto XV, il «suicidio dell`Europa civile». La lezione della storia è un messaggio al presente, mentre si sta riabilitando lo strumento della guerra per risolvere i conflitti, cala la sensibilità per la pace e si fabbricano tante armi.
Nelle parole di Francesco risuona l`esperienza di umanità della Chiesa attraverso il Novecento delle guerre, quasi trasmessa di Papa in Papa. In questo secolo, infatti, i Vescovi di Roma hanno sempre rifiutato le ragioni dell`ideologia e del nazionalismo, guardando la guerra come un dramma che sfigura i popoli e che peggiora il mondo. Cinquant`anni fa, il 4 ottobre 1964, Paolo VI portò alla tribuna dell`Onu questa coscienza gridando: «Mai più la guerra!». Dopo mezzo secolo, Francesco delegittima radicalmente la violenza bellica: «Trovo da dire soltanto: la guerra è una follia». Perché «il suo piano di sviluppo è la distruzione». Le ragioni realistiche e politiche dei conflitti impallidiscono di fronte all`affermazione: la guerra è una follia! «La cupidigia, l`intolleranza, l`ambizione al potere…» sono il terreno su cui si sviluppa questa follia. Un «impulso distorto» giustificato dall`ideologia: «Anche oggi, dietro le quinte, ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c`è l`industria delle armi, che sembra tanto importante!», ricorda con realismo il Papa. Egli individua tre categorie di «signori della guerra»: i pianificatori del terrore, gli organizzatori dello
scontro, gli imprenditori delle armi. Possono essere in conflitto tra loro, ma li accomuna l`indifferenza verso la vita umana: «A me che importa?», «sono forse io il custode di mio fratello?», sono domande che esprimono la loro visione. L`indifferenza al dolore umano è l`ideologia di Caino.
Il centenario della Grande Guerra (conflitto europeo che incendiò il mondo) deve essere l`occasione per una ripresa del pensiero sulla pace, non nella logica d`un pacifismo ideologico ma nella prospettiva di un rinnovato slancio pacificatore. Certo, il mondo attuale è complesso, richiede attenzione, informazione e capacità di penetrazione. Il contrario delle semplificazioni. Ma questo non deve smorzare uno slancio che, dai cimiteri della guerra, giunge ai campi di battaglia di oggi. Sentimento e intelligenza debbono rafforzare la convinzione che non si può più dire: «A me che importa?». Possono spiegare a tutti, in diverse situazioni, la nuda verità: «la guerra è una follia», sempre.