Fonte: Corriere della Sera
Oggi le Chiese ortodosse celebrano la Pasqua. I cristiani ucraini e russi hanno sempre vissuto questa festa con un entusiasmo particolare, sconosciuto in Occidente. La liturgia coinvolge il popolo. Nella notte di Pasqua, le tante candele dei fedeli illuminano la chiesa, manifestando la sconfitta della «notte», il mondo oscuro dell’esistenza e della storia. Gli ucraini e i russi, nel rito comune agli ortodossi, immettono una grande passione religiosa. I fedeli, in processione fanno il giro attorno alla chiesa e ripetono: «Khristò svoskrés!» (Cristo è risorto). E si risponde: «Voistinu voskrés!» (veramente è risorto!). «Cristo è risorto!» è continuamente ripetuto, anche fuori dalla chiesa nel tempo pasquale. La Pasqua parla di resurrezione e pace.
Questo clima si manifestava persino negli anni bui della persecuzione sovietica nelle poche chiese rimaste aperte. La liturgia mostrava una «bellezza» sconosciuta al grigiore sovietico. La Chiesa ortodossa, in quegli anni, pagò un prezzo altissimo: un milione di morti, di cui 200 vescovi, uccisi perché cristiani. Ma l’ortodossia era radicata nel popolo, nonostante la violenza e la campagna ateistica, tanto che Stalin, aggredito dai nazisti nel 1941, sentì il bisogno dell’appoggio della Chiesa, ridandole un nuovo spazio (ridotto) nella società.
Con la fine dell’Urss, la Chiesa è divenuta libera e ha una posizione preminente in Russia. Molte chiese sono state costruite e tante restituite. Quando nel 2009 Kirill divenne patriarca di Mosca e di tutte le Russie, tenne un discorso nell’imponente cattedrale di Cristo Salvatore (ricostruita nel 2000 dopo che Stalin l’aveva fatta saltare nel 1931). Disse che su di lui, come patriarca, cadeva la responsabilità di tenere uniti i popoli ortodossi dell’ex Urss. Putin, allora primo ministro, era lì e ascoltava accanto al presidente bielorusso Lukašenka e al presidente russo Medvedev.
Oggi, nonostante lo spirito del popolo a Pasqua sia lo stesso, l’ortodossia è lacerata, incapace di una sua voce di fronte alla guerra, se non l’appoggio di Kirill all’azione dello Stato e l’atteggiamento patriottico delle diverse Chiese ucraine.
Nel 2018, le Chiese ucraine che non si riconoscevano nel patriarcato di Mosca, si sono unite, ricevendo un tomos dal patriarca ecumenico Bartolomeo che decretava l’autocefalia della Chiesa ucraina. Kirill ha denunciato il fatto come abuso di potere e rotto con Bartolomeo. Il mondo ortodosso internazionale si è diviso tra chi riconosce la Chiesa ucraina autocefala e chi è contro Bartolomeo. Il processo di coesione inter-ortodosso, cui ha tanto lavorato il patriarcato ecumenico nel Novecento, è in parte compromesso. Nella notte di Pasqua a Mosca non si è ricordato nella preghiera il nome di Bartolomeo. L’ortodossia sembra in frantumi.
La più grave divisione è in Ucraina. L’invasione russa e la posizione del patriarcato moscovita, schierato a sostegno dello Stato, hanno messo in seria difficoltà la Chiesa ucraina legata tradizionalmente a Mosca. Questa, pur autonoma dal 1990, è accusata di essere al servizio di Mosca. Il suo leader, il metropolita Onufrij, all’inizio dell’invasione, chiese a Putin di «fermare immediatamente la guerra fratricida». Questa Chiesa ha condannato la guerra e la politica del patriarcato russo, affermando la sua indipendenza. Dall’inizio della guerra circa 250 parrocchie su 8.500 sono passate alla Chiesa autocefala. Ma la Chiesa ucraina (ex russa) resta la più grande comunità cristiana del Paese. Anche se attraversata da divisioni e spesso attaccata sui media e i social.
Un progetto di legge governativo, che sarà discusso in Parlamento, vieta ogni attività religiosa a organizzazioni con la sede principale in un Paese nemico. Talune chiese ex russe, come la cattedrale di Leopoli, sono state occupate con la forza e poi, con un voto di gente radunata in chiesa, annesse alla Chiesa autocefala. Il governo ha tolto il millenario monastero delle grotte di Kiev alla Chiesa ucraina (ex russa), ma i monaci vi resistono. Il papa pubblicamente ha chiesto di evitare un atto di forza. Viene da chiedersi che interesse abbia il governo ad accrescere la lacerazione religiosa in un Paese già tanto sofferente per l’invasione.
In questa Pasqua di sangue per la guerra e le atrocità, l’ortodossia si rivela però ancora una volta una Chiesa di popolo, capace di comunicare qualcosa di profondo e vitale alla gente nella liturgia e nella fede. Molti fedeli badano poco alle diverse gerarchie in lotta. Tuttavia, le istituzioni ortodosse sono drammaticamente scosse dai nazionalismi. Tutte le Chiese sono più sole e isolate. Intanto le relazioni panortodosse e l’ecumenismo sono in grave crisi. Le Chiese rischiano di restare ostaggio della nazione. Nessuna ce la fa da sola a liberarsi e deve conformarsi. Anche le altre Chiese sono scosse, perplesse e talvolta schierate. In tempi di guerra, come nel primo conflitto mondiale, tornano i sogni di un concilio di pace pancristiano.