Fonte: Avvenire
10 anni di pontificato di Papa Francesco. Secondo lo storico Andrea Riccardi, non è tempo di bilanci. Non siamo in una fase finale. L’Evangelii gaudium è un invito a non separare la propria salvezza dalla ricerca di quella altrui
Dieci anni di pontificato di papa Francesco non sono l’ora di un bilancio. Piuttosto, dopo dieci anni, bisogna guardare avanti. Non siamo in una fase finale. Infatti, alcuni “semi” del pontificato devono ancora maturare. Prima di tutto, quello subito gettato nel 2013 con l’Evangelii gaudium: una Chiesa in uscita sulla strada, che dialoga con tutti e comunica il Vangelo. Un sogno antico, che risale al Concilio, all’Ecclesiam suam di Paolo VI: quello «di chi avverte – scrisse papa Montini – di non poter più separare la propria salvezza dalla ricerca di quella altrui, di chi si studia continuamente di mettere il messaggio, di cui è depositarlo, nella circolazione dell’umano discorso».
Invece è cresciuta, negli ultimi due decenni, una tendenza alla “separatezza`, che vuol dire ripiegamento, tradizionalismo, autoreferenzialità. Questo è forse dovuto all’infrangersi, tipico della società globale, del senso del “noi” ecclesiale, che il Concilio aveva rafforzato parlando di popolo di Dio, comunione e comunità. E’ invalso, in parte, un soggettivismo, che spiega il distacco dalla realtà storica, il non fare popolo con la Chiesa. Questo è derivato anche dalla delusione di un’evangelizzazione, di cui tanto si è discusso, ma che non ha dato i suoi frutti. La Chiesa ne ha molto parlato, ma sono diminuite la sua partecipazione e rilevanza nella vita sociale e delle persone.
In realtà, c’è da dcomprendere meglio il mondo in cui vive la Chiesa di Francesco. Abbiamo tanto ragionato di secoladzzazione. Abbiamo visto meno fedeli in chiesa. Abbiamo misurato la pratica religiosa. Ne abbiamo dedotto un declino costante. Sì, forse il declino c’è, ma la realtà della società è cambiata tanto, verso la fede e la Chiesa. Non c’è un mondo ostile, com’era prima o dopo il Concilio. E poi non si può misurare la domanda religiosa solo con la pratica della Messa domenicale. C’è un interesse più largo, discontinuo ma profondo, verso la Chiesa e il suo messaggio.
C’è un mondo di credenti, anche se non praticanti, difficile da quantificare ma reale. Questo esige un dialogo approfondito, senza attitudini proselitistiche, e con grande disponibilità. Chi sono gli attori di tale dialogo con un clero, diminuito di numero, quindi molto occupato nella vita liturgica e istituzionale? Nel futuro, c’è un appuntamento vero con la proposta dell’Evangelii gaudium, che va discussa. La sinodalità deve riguardare il futuro della Chiesa e le scelte concrete (che sembrano prese a un livello “altro”).
Discutere di futuro è un segno di speranza in un tempo segnato dalla guerra in Ucraina e tanti, troppi, altrove. Il che induce al pessimismo, a non rischiare, a chiudersi. Francesco ha lottato e lotta contro la guerra. Fratelli tutti è un messaggio contro la guerra: è la proposta di colmare i vuoti del mondo globale e di superare le tensioni con la fraternità. La deglobalizzazione è il futuro, dopo un rapido processo di mondializzazione, che è stato tutto centrato sui mercati e l’economia e ha suscitato reazioni identitarie forti, quali lo scontro di civiltà e di religioni e i vari fondamentalismi.
La Chiesa è, a suo modo e da sempre, una realtà globale, che armonizza la dimensione universale e locale. Un mondo che si deglobalizza riscopre muri e frontiere, manifestandosi poco partecipe della storia degli altri. La Chiesa non vive un cosmopolitismo irreale, ma propone una fraternità universale, radicata nelle comunità e nei popoli. In dieci anni di pontificato, è maturato un patrimonio di esperienze e di visioni con cui affrontare saldamente questo complesso e combattuto secolo XXI, senza le ingenuità di ieri, ma senza nemmeno quel pessimismo chiuso e aggressivo che sta guadagnando troppi cuori e troppe politiche.
Anche nelle faglie di un mondo diviso, nelle chiusure allo spirito o all’altro, persino negli scontri, la Chiesa «esperta di umanità», come diceva Paolo VI, avverte una sete di Dio e un desiderio di essere fratelli e sorelle. Questo mondo prega, forse più di ieri: lo si vede in tanti angoli della vita, nell’incontro con le persone. C’è poi un’urgenza di pace, da sostenere e vivere. Non è l’ora del pessimismo del declino, ma della lotta e della speranza per aprire i cuori e liberare il mondo dalla paura del futuro. Papa Francesco agli occhi di tanti è il compagno e il maestro con cui affrontare le sfide del terzo decennio di questo XXI secolo.