Tanti anni fa, nel 2006, Michele Tagliacozzo, un ebreo romano, giovane all’epoca del 16 ottobre, ora scomparso, m’inviò da Israele questa pagina del suo diario, come contributo alla nostra memoria:
« Alle 6,15 del mattino eravamo ancora nei nostri letti, quando elementi armati delle SS irruppero nell’appartamento situato al mezzanino dello stabile… Ai ripetuti colpi sulla porta, la mamma aprì la porta e mentre leggeva a voce alta il biglietto presentato dagli sgherri in cui s’intimava di seguirli, riuscì a dire ‘Reshudde’ che nel vernacolo giudaico voleva dire ‘scappare’. Saltai immediatamente dal letto ancora in pigiama e mi calai dalla finestra della stanza che dava sui giardini del fabbricato. Gli inquilini del caseggiato non ebrei compresero subito che l’operazione riguardava solo gli ebrei e così cercarono… di aiutarci. Una modesta lavandaia che abitava al terzo piano m’offrì di salire nella sua casa… in quell’attimo mi colpì l’esclamazione della donna: ‘Povera sora Grazia ! I tedeschi la stanno portando via coi figli’ ».
E’ una delle tante pagine su quel giorno, il 16 ottobre, che tutti ricordano freddo e piovoso. Ma scritta da un ricercato! Una giornata di disumanità, in cui brilla l’umanità della madre che salva il figlio: “Resciud”. E quella di una povera lavandaia, che apre la porta: “Povera sora Grazia! I tedeschi la stanno portando via con i figli”. E’ un’espressione che spicca di fronte all’apatia di tanti, a una comunità ebraica, isolata dalle leggi del ’38. Il grido di una lavandaia mostra che ha Roma non si era persa tutta l’umanità. Di fronte al dramma di quel giorno e dei mesi successivi per gli ebrei, si vide la forza dei giusti, quella delle lavandaie. Ma si vide, di fronte alla violenza folle e razionale dei nazisti, alla fame di denaro dei delatori, l’inerzia di un mondo che aveva perso con la libertà, consegnandosi al fascismo, il senso della responsabilità e dell’umanità. Mistero della storia, quello dei popoli che si spogliano della loro libertà consegnandosi a quello che Umberto Eco, da par suo, chiamava il fascismo eterno.
Sono storie dolorose. Per gli ebrei romani costituiscono un dolore familiare acuito dall’abbandono. Michele Tagliacozzo reagì al dolore ricordando, raccogliendo materiale, trasmettendolo, convinto che non si dovesse dimenticare quell’inverno così lungo come fu quello 1943-44. Lo confortava sapere che il 16 ottobre non era divenuto una ritualità, ma una memoria di popolo.
Roma, anche nella storia recente, ha passato brutte giornate. Alcune si rammentano, altre si dimenticano. Ma, il 16 ottobre, per sua evidenza, s’è imposto come un ricordo che resta. Lo dicono tante presenze, pur in una situazione così difficile. Leggiamo in quel giorno il frutto amaro di una storia, fatta di lungo antisemitismo, di disprezzo, di abdicazione dalla libertà, che ha annullato la capacità di resistere, forse di capire l’orrore che arrivava. Così ci si chiude nel silenzio degli spettatori, ma ogni spettatore può divenire vittima o carnefice. Il disprezzo è l’inizio del male. Nessuno merita disprezzo. L’indifferenza è consenso distratto al male.