Fonte: Corriere della Sera
Non è un bel Natale per tanti cristiani. Per loro, talvolta, trovarsi insieme a pregare è un rischio. A Peshawar in Pakistan, a settembre, fuori dalla chiesa anglicana hanno ucciso 81 cristiani dopo il culto. I cristiani pachistani – meno del 2% su 180 milioni – festeggiano un Natale inquieto.
L'anno scorso ha registrato eventi tragici, tra cui la distruzione di un'area cristiana da parte di musulmani scatenati contro una piccola disabile cattolica accusata di blasfemia. Qualche musulmano ha difeso i cristiani, ma è un tempo incerto. In Nord Nigeria, a prevalenza islamica, il terrorismo di Boko Haram minaccia le chiese cristiane oltre a vari obiettivi civili (e comincia a rapire le ragazze cristiane). Anche qui il Natale sarà trepidante. Accade spesso ai cristiani nel mondo musulmano. Non sempre. In Egitto (i cristiani sono meno del 10%) il Natale è festa nazionale. Quest'anno sarà migliore per i copti, che lo celebrano nella grande cattedrale al Cairo i17 gennaio con il patriarca Tawadros. Si sentono più sereni con la caduta dei Fratelli musulmani. Ma il futuro non è chiaro. Forse la piccola comunità, cristiana in Iran (100.000 persone su quasi 70 milioni) festeggia più speranzosa il Natale con il nuovo presidente Hassan Rouhani. Ma la pressione si sente sulle chiese domestiche protestanti, composte da iraniani convertiti (si parla di parecchie decine di migliaia attratti dal cristianesimo).
Due mesi fa quattro sono stati condannati a 80 frustrate per aver bevuto il vino della comunione. Quaranta protestanti di origine musulmana sono in prigione. Drammatica è la situazione cristiana in Siria, un tempo terra di convivenza islamo cristiana. Ad Aleppo, la città più cristiana, circondata dai ribelli, i cristiani sono in angoscia. Per Natale, le cattedrali ortodossa e siriaca saranno prive dei vescovi, Yazigi e Mar Gregorios, rapiti mentre erano in viaggio per riscattare correligionari in ostaggio. Ai cristiani siriani manca padre Paolo Dall'Oglio, lui pure rapito. Come Domenico Quirico ha mostrato i cristiani (senza differenze tra loro) sono considerati nemici dagli islamisti, che controllano parte del Paese. Ripulirlo della loro presenza è azione meritoria. «Non si può vivere sempre con la paura», ha dichiarato il patriarca iracheno Sako, leader della più numerosa comunità cristiana del Paese.
Qui, come in Siria, i cristiani vivono nella paura. Se possono, lasciano l'Iraq (dove hanno radici bimillenarie): erano un milione prima della guerra e ne restano circa 450.000. Il Natale è duro anche per i cristiani in vari Paesi africani. Il dramma è soprattutto in Centrafrica, a rischio di genocidio (anche dopo l'intervento militare francese). Dei quasi quattro milioni di abitanti, tra i più poveri della Terra, metà sono cristiani: sono minacciati da bande armate musulmane, spesso venute da fuori (specie gli ex ribelli Seleka al potere). In questo Natale l'arcivescovo cattolico Nzapalaiga (con il pastore protestante e l'imam) gira il Paese per mostrare che nessuna religione giustifica chi uccide. Molti centri cristiani sono pieni di rifugiati che cercano protezione. Si celebrerà il Natale nell'insicurezza. Confinante con il Centrafrica c'è il Sud Sudan, dal 2011 indipendente dal Nord (musulmano). Qui si combattono i gruppi etnici, Dinka e Ruer (con molti cristiani in entrambi). Dimenticano le guerre con il Nord islamico e i loro 2.500.000 morti e si consumano in uno scontro etnico, che ha già prodotto 34.000 rifugiati solo nelle basi Onu. I leader cristiani hanno lanciato un appello, chiedendo «forza e coraggio nel portare la pace». Ma la pace, che è il dono del Natale, sembra lontana da qui a da tanti Paesi. Nei giorni natalizi, nel cuore delle comunità cristiane in difficoltà, s'intrecciano paure con preghiere e attese, feste con incertezze. È difficile capire in un Occidente secolarizzato (dove però il Natale resta festa di tutti) come questa ricorrenza sottolinei la diversità cristiana dalla maggioranza e manifesti la speranza di pace per sé e per il proprio Paese.