Fonte: Il Mattino
Professore Riccardi, che significato dà alla prossima visita del Papa a Napoli dopo l'annuncio al mondo del Giubileo sulla misericordia?
«È la prima volta che papa Francesco visita una grande città europea, dopo aver attraversato piccole ma non meno significative e simboliche realtà italiane, come Cassano allo Jonio, Lampedusa, Cagliari, Campobasso, Caserta, Redipuglia. La visita a Napoli incrocia due fatti nuovi del pontificato di Papa Francesco. Il primo, il Papa non ha ancora visitato l'Europa delle periferie, dopo aver conosciuto e vissuto le città del sud del mondo. Sia nelle prime città che nelle seconde, sia pure per diverse motivazioni e caratteristiche, si specchiano le periferie esistenziali dell'umanità dove è possibile incrociare gli occhi della misericordia di Dio che ispirano speranza e invitano l'uomo a chiedere perdono per i suoi peccati, anche quelli cosiddetti sociali. Il secondo fatto di rilievo, è la sfida della speranza che il Papa lancerà per una grande città».
Come incide Napoli nella spiritualità e nell'esperienza umana del Papa?
«Credo che già l'invito che gli è stato rivolto dal cardinale Sepe gli abbia lasciato una traccia profonda. La visita di papa Francesco rappresenterà un invito alla speranza ma anche una scossa per Napoli, che è una città in frammenti, con il filo della comunità di popolo smarrito nelle mille emergenze».
Lei parla della necessità di una scossa.
«Il grande rischio di Napoli è quello di vivere il suo presente affondando sempre le radici nel vittimismo. Le difficoltà delle grandi metropoli sono comuni a tante parti del mondo. Ma Napoli ha bisogno di compiere il salto verso il futuro che deve nascere da una tensione comune. Deve recuperare i frammenti di umanità, che esistono e sono visibili, per farli diventare mosaico di vita e di speranza».
Perché Napoli fatica a disegnarsi il futuro, nonostante questi frammenti di vitalità?
«È un'ex capitale, una città-regina senza il suo re. Napoli fatica a vivere come città-mondo, come Istanbul, ad esempio. Napoli è la finestra sul Mediterraneo, mare che per ruolo storico e geopolitico è diventato sempre più importante nell'equilibrio di pace nel mondo».
La visita del Papa in questa grande città europea sarà anche un monito per l'Europa stessa alla ricerca di un nuovo destino?
«Noi europei abbiamo smarrito lo sguardo verso il Mediterraneo, proiettati, come siamo stati negli ultimi decenni, con lo sguardo sull'Est e sul nord dell'Europa. Napoli, anche con la visita del Papa, può riappropiarsi di un ruolo di protagonismo mondiale alla frontiera del Mediterraneo».
Napoli è la metafora delle periferie per Papa Francesco?
«È una intera città a rischio periferia perché a Napoli la periferia è perfino nel suo centro. Il Papa comincia la sua visita da Scampia, uno dei quartieri più giovani di Napoli ma anche quello che ha il più alto valore simbolico e biblico del "deserto che finirà" grazie alla speranza di chi ci vive».
Da lì partirà il messaggio di Papa Francesco per Napoli?
«Quel gesto di cominciare la visita dal quartiere Scampia sarà un richiamo alla Chiesa napoletana perché prosegua sulla strada del "fare" e della "carità" per la resurrezione di Napoli, oltre che rappresenterà il richiamo alla comunità civile ridotta in brandelli esistenziali»
Da quali elementi ricava questo giudizio così netto?
«Napoli è una città che vive da una parte con le sue eccellenze e le sue protezioni sociali e dall'altra con la più acuta disperazione. La visita di Papa Francesco sarà un'occasione per risvegliare la religione del popolo ma anche la cultura civile del popolo».
Giovanni Paolo II da Scampia, nel 1990, lanciò il suo monito ai napoletani: «Riorganizzate la speranza». Perchè questo monito è rimasto inascoltato?
«La città si è ripiegata sui suoi frammenti smarrendo il senso della comunità. Napoli sembra vivere con la spinta emotiva ed irrazionale del "si salvi chi può". Non c'è più l'idea di salvare Napoli, una grande città cosmopolita, con la sua ricchezza di bellezza e di storia. Napoli non può ulteriormente rinunciare ad organizzare la speranza, mettendo in rete i frammenti e le vite di ognuno per tracciare un nuovo sistema di convivenza civile».
Quale sarà la frase simbolo che il Papa utilizzerà?
«Non la posso immaginare. Credo, però, che stavolta la vita vissuta dallo stesso Bergoglio nelle periferie esistenziali di Buenos Aires sarà al centro di un nuovo invito alla speranza ma formulato con le parole dell'esperienza diretta».
La Chiesa italiana si è ripresa dallo choc dopo l'elezione di Bergoglio?
«Choc è un sostantivo troppo forte. Preferisco dire che la Chiesa italiana, dopo l'elezione di Papa Francesco, è a mezza strada in un percorso di trasformazione avviato proprio con il pontificato Bergoglio. Il giudizio sullo stato della Chiesa italiana, per essere complessivo, va definito con lo studio delle singole diocesi, in questo tempo di così acute trasformazioni, non solo sulla valutazione del comportamento delle gerarchie».
C'è chi continua a sostenere «questo Papa piace troppo a tutti». Come replica a questa riflessione?
«Hanno paragonato Papa Francesco a Gorbaciov e il suo pontificato ai giorni della perestrojka per dimostrare che lui piace più all'esterno che all'interno della Chiesa. Non c'è rispondenza tra le due circostanze storiche. Gorbaciov era un idealista, Papa Francesco un realista della storia. Si aggira con la sapienza di un primario in questo ospedale da campo che è diventato il mondo, e con la praticità di un infermiere che, nella Chiesa, corre nelle corsie da un letto all'altro per rispondere alle grida di aiuto e di dolore».