di Susanna Turco

28/05/2023 In Ucraina serve una pace impura. Intervista ad Andrea Riccardi

di Andrea Riccardi

Fonte: L'Espresso

Fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi sostiene che la diplomazia può mettere fine al conflitto tra Mosca e Kiev. La missione di Zuppi? L’inizio di un cammino

Ha fondato la comunità di Sant`Egidio a 18 anni, l`età in cui si prende la patente. È amico di Matteo Zuppi da quando ne aveva 19 (e il cardinale 14). A 30 è diventato ordinario di Storia contemporanea. A 42, anche con il presidente della Cei, ha fatto da mediatore nelle trattative per la pace in Mozambico. Oggi Andrea Riccardi, ex ministro con Mario Monti, siede in fondo alla sala di presidente della “Dante Alighieri” con la sua aria d`uomo che è difficile confinare a un tempo e a uno spazio precisi: passa dal 2023 al 1945 con la stessa naturalezza con cui parla di Africa, Italia, Ucraina. Non perché sia tutto uguale: è tut- to vivo.
Ha passato gli ultimi mesi a invocare una pace per l`Ucraina e ha pubblicato un dialogo, “Accogliere”, con Lucio Caracciolo, nel quale affronta il tema con un «discorso realista»: «Ci troviamo in una grande svolta della storia. A misurarci con questa grande spinta che viene dal Sud e dall`Est. E davanti al nostro Paese in crisi demografica, con l`invecchiamento, un welfare che si basa anche sulle badanti, scarsa manodopera. È chiaro che l`interesse è accogliere, integrare, far lavorare. Il pericolo è l`invasione? In realtà l`identità italiana sarà distrutta quando saremo diventati un Paese di vecchi, che veramente non potrà più integrare».
La guerra in Ucraina sta cambiando gli equilibri mondiali?
«Sono stato lì da poco, a vedere il lavoro di Sant`Egidio che ha quattro grandi centri di distribuzione di aiuti umanitari. Il dramma ucraino è che íl prezzo della guerra lo pagano loro, si combatte solo sul loro territorio. Un quarto della popolazione se ne è già andato. A quel che dicono i militari, gli ucraini non riusciranno a vincere, ma nemmeno i russi: il grande rischio è lo stallo di una guerra eternizzata. Cercare la pace, il cessate il fuoco: noi lo diciamo. E non vuol dire tradire l`Ucraina, ma avere soprattutto la preoccupazione per quel Paese».
La pace è diventata una parola ambigua?
«La parola pace è la parola pace. Addirittura in Africa dicono: è un`idea occidentale. Oppure c`è chi dice: pace vuol dire putinismo. Non è la mia prospettiva: pace vuol dire che l`Ucraina vivrà e non deve pagare questo prezzo enorme. Purtroppo ci vorrebbe un investimento sulla diplomazia. Ma chi la vuole? Chi la fa?».
Il cardinale Zuppi è stato scelto da papa Bergoglio come inviato a guidare la missione di pace del Vaticano. Quale è l`obiettivo?
«Il cardinale Zuppi è uomo di grande passione per la pace, ma anche esperto di riconciliazioni internazionali. Non ci si deve aspettare che, in un viaggio, avvenga il “miracolo”. Gli ucraini hanno già detto che non hanno bisogno di mediazione; i russi non hanno manifestato interesse in questo senso. Ma sono convinto che, se avremo pazienza, si tratterà di un viaggio di grande significato. Esprime il sentire di papa Francesco: la necessità di fare pace. Manifesta la sua volontà di bussare alle porte di chi può aiutare la fine della guerra».
Quale pace si può immaginare?
«Nel meeting di Sant`Egidio sul “Dialogo interreligioso per la pace”, il presidente francese Emmanuel Macron – non certo un pacifista – ha parlato di “pace impura”: penso abbia ragione. Ci vuole una pace impura, perché la pace pura rischia di non esserci».
Da mesi lei gira l`Italia in corteo per la pace. La prima volta a Roma, il 5 novembre: ha parlato dal palco, con Maurizio Landini e don Luigi Ciotti. Era il suo primo comizio?
«In quella piazza sì, il primo in assoluto non lo ricordo. Io sono nato a San Giovanni, all`inizio di via Appia Nuova. I miei si ricordavano di quando i tedeschi avevano messo i cannoni fuori dalla Porta, poi l`ingresso degli alleati e la sensazione che ebbero quando li videro sfilare: come potevamo pensare di vincere la guerra?».
Quel pomeriggio cantava “Bella ciao”.
«Ed ero contento per quella manifestazione che ha fatto emergere un popolo che crede nella pace, con sfumature diverse: il mondo del lavoro, cattolici, gente perbene, sfusa, famiglie. E niente partiti, niente».
Ha detto: «Il popolo della pace conta». Ma conta davvero?
«Spero di sì, spero che cresca. Il rischio è che sia solo una sommatoria di associazioni, con i loro rituali non del tutto aggiornati. Deve essere di più: ci vuole la cultura politica della pace. Bisogna reintrodurre l`interesse per il mondo in un Paese che ha vissuto un processo di introversione. Si sono rotte o indebolite le reti: la famiglia, i partiti, i movimenti, la chiesa, i sindacati. Siamo tutti più  soli. Più “io”. E in fondo siamo spaventati. C`è una bella espressione di Mircea Eliade: “Terrore della storia”. Ma è iniziata una nuova ondata. Per questo sono andato all`iniziativa per la pace a Verona, al Campidoglio, al congresso della Cgil».
Un`altra prima volta, per lei.
«Sì, per la Cgil. Non per Rimini, dove ho vissuto per dieci anni, da bambino: mio padre lavorava lì, allora si usava che i figli andassero coi genitori. Con Landini parlo spesso, è un interlocutore importante».
Nel suo intervento ha detto: «Nel sindacato c`è un`idea del noi».
«È una delle reti che reggono, in questa Italia senza reti. Frequento le periferie di Roma dal 1968 e ho visto la loro storia. Primavalle per esempio era un quartiere di periferia povero, ma pieno di reti: la parrocchia, la sezione del Pci, la Fgci, la Dc, i comitati, gli extraparlamentari, i neofascisti, c`era tutto a Primavalle. Oggi la periferia è sola. E quindi tutto quello che è “noi”, che è “rete”, è positivo: perché poi la gente ha paura, quando ho un problema da solo come lo risolvo? Questo per me è il punto. E questo è il lavoro che fa Sant`Egidio».
Lei ha fondato la Comunità a 18 anni. Un`età nella quale di solito si conclude un Pcto, l`ex alternanza scuola lavoro.
«Il `68 era un mondo di grandi realtà associate, di giovani: uno a 18 anni credeva di poter cambiare il mondo. Tutto è nato così: dentro la scuola, nei quartieri. Il `68 era anche il dopo Concilio: voleva dire passione evangelica, cristianesimo in periferia. Quello di cui parla papa Bergoglio, l`abbiamo sempre vissuto. Questa è la nostra storia. Si è ricordato da poco il terribile assassinio dei fratelli Mattei a Primavalle: io me li ricordo, ricordo la striscia nera sotto la finestra, il clima di violenza, il lavoro di pace e solidarietà che la comunità faceva lì. Era un mondo in cui i giovani credevano di poter contare».
E adesso perché non è così?
«Perché non accettiamo la nostra vecchiaia, non facciamo spazio alle giovani generazioni, compresse dagli adulti».
Se lo immaginava questo percorso?
«Me lo sono immaginato giorno per giorno. Il clima era molto diverso. L`altro momento di speranza, dopo il `68, fu l`89: sembrava che pace e democrazia si sarebbero diffuse in tutto il mondo, con il mercato; e alla fine era una forma di provvidenzialismo, perché non abbiamo costruito un nuovo ordine di pace. Era il grande momento dell`Europa, oggi è più difficile, cupo, la stessa Ue mi sembra provata».
Perché?
«Paga un prezzo economico alla guerra. Manca di iniziativa politica. E qui di nuovo cito Macron, quando parla di “autonomia strategica” dell`Europa. Non vuol dire uscita dall`Occidente, o politica anti-americana. Però ricordo la vecchia Italia, fedelissima alla Nato, che prendeva iniziative nel mondo arabo, nell`Est. E poteva farlo».
Dovrebbe ricominciare?
«È ovvio che il nuovo governo italiano non può prendere iniziative e deve farsi accettare così come è: è al potere da pochi mesi. La vera questione sarebbe un impegno europeo, ma vedo un deficit di iniziativa».
L`inerzia viene anche dal fatto che la memoria della guerra mondiale è sbiadita?
«Sono uno storico, per me la questione della memoria è decisiva. È un dramma la fine dei testimoni: sono preziosi, perché durante la guerra si apre l`abisso del male. Diceva don Luigi Sturzo: la guerra travolge e coinvolge nella sua disumanità anche l`aggredito. E noi abbiamo perso memoria dell`orrore della guerra. Oggi è un game che si vede in tv, o che il principe Harry fa dal suo elicottero: uccide 23 pedine e poi ne scrive nelle sue vendutissime memorie».
È l`amnesia della storia ad aver reso così problematico il ricordo del 25 aprile?
«La memoria è stata ritualizzata, le generazioni sono passate: ma ricordare la guerra in Italia, per noi, vuol dire ricordare il fascismo, quello che è stato, quello che ha prodotto. L`amnesia della storia porta a vivere in un eterno presente: se io ricordo il fascismo e la guerra, allora mi slancio in una visione democratica e pacifica del futuro».
Oggi abbiamo visioni?
«Poche. C`è una bellissima poesia di Wojtyla che dice: “L`uomo soffre soprattutto per mancanza di visione”. Resta vero anche oggi: soffriamo di mancanza di visione. È strano. Siamo nel mondo globale, informati su tutto: quasi un eccesso di luce che ci rende difficile vedere avanti».
Lei nella storia c`è cresciuto: suo padre si unì alla Resistenza e finì in un lager vicino a Colonia, suo zio – il maggiore – aderì a Salò.
«E mia nonna mandò lo zio da mio padre. Gli disse: “Aderisci alla Rsi, vinceremo noi”. Ma lui era liberale, monarchico, crociano. Disse no. Lascio immaginare, dopo, le feste di famiglia, con papà e zio a litigare su Mussolini e sul re. E le donne che cercavano di separarli. Una cosa molto italiana».
Ci vuole di nuovo un partito dei cattolici?
«Non lo so. Il centro mi sembra in grande caos: più personale che politico. Penso che i cattolici siano un po` in difficoltà nel Pd: era nato dall`incontro di due culture, oggi la situazione è diversa. Per me manca una voce che non solo rappresenti la tradizione politica, ma che sia veramente innovativa».
Non ritiene che il Pd di Elly Schlein possa interpretare anche le loro istanze?
«Schlein non la conosco: stiamo a vedere. In generale vedo un orientamento a destra della società: una richiesta di protezione, ordine, tradizione. Una domanda che è anche dei cattolici e che è sempre più inevasa dal Pd».
E Giorgia Meloni la evade?
«La invade semmai: c`è una parte di cattolici, della Chiesa, che si riconosce nel centrodestra. L`attrazione è indubbia». `