Fonte: Avvenire
La Risiera di San Sabba, da una parte, le foibe, dall'altra. L'arcivescovo Giampaolo Crepaldi le evoca per significare che «Trieste è una città che conosce bene il dolore, la sofferenza» e che, di conseguenza, riesce a capire più di altre il martirio cristiano (di tutte le confessioni) e quanto è stato fecondo per la fede in Europa. Come non ricordare, ad esempio, il beato don Francesco Bonifacio, «martire della fede» in Istria, dopo la guerra? Il Duomo sul colle di Trieste è tornato ancora una volta a riempirsi mercoledì sera per la «Cattedra di San Giusto» e questa volta è stato il professor Andrea Riccardi della comunità di Sant'Egidio ad interrogarsi su un tema di così stretta attualità.
Tanto attuale da indurre il relatore ad augurarsi: «Dobbiamo far tornare i martiri insieme a noi perché parlino di forza al nostro cristianesimo scialbo».
Parte da lontano, Riccardi. Fa memoria delle grandi tragedie dell'Europa. Ma sottolinea subito con amarezza che noi europei facciamo di tutto per rimuovere il grande dolore degli altri, appunto perché «siamo troppo concentrati su noi stessi». Ricorda Giovanni Paolo II e la sua esperienza personale sotto i regimi nazista e comunista, con una domanda che spesso gli affiorava: «Perché io mi sono salvato?». E il senso profondo di «debito» verso la Chiesa, la Polonia, l'umanità intera. E proprio da qui nasce il suo sacerdozio.
Ricorda, fra i testimoni contemporanei fedeli al Vangelo, il cardinale vietnamita François Xavier Nguyen van Thuàn. Riporta alla memoria l'Albania, in cui dal 1967 ogni atto religioso era vietato e in cui battezzare un bambino significava compiere un crimine.
Anzi, sottolinea Riccardi, per lunghi, troppi anni non si è neppure potuto parlare di martiri. Martiri che, si badi, non chiedono vendetta, non sollecitano neppure giustizia, domandano invece memoria.
Ma chi è il martire? Non è certamente un kamikaze, non rischia, non provoca; è un uomo (o una donna) che crede, spera, ama, i poveri soprattutto. E che anche di fronte alla morte continua a testimoniare la sua fede senza lasciarsi intimidire. Come, appunto, l'istriano don Bonifacio.
E oggi il martirio si incontra lungo la strada della quotidianità. Riccardi cita l'arcivescovo Oscar Romero, don Pino Puglisi, don Andrea Santoro, i tanti cristiani caduti in Africa e, più recentemente, in Asia. «I martiri sono testimoni di umanità e di fede. E nei momenti di dolore si vede veramente la grandezza della Chiesa». I cristiani vengono colpiti perché sono testimoni di un altro modo di vivere; sono pericolosi e, quindi, vanno eliminati. «Oggi il martirio continua – è la convinzione di Riccardi -. I regimi totalitari sono diminuiti, ma i martiri ci sono ancora. E proprio per questo non vanno mai lasciati soli, mai dimenticati». La lezione che si può trarre dai martiri? Vivono l'alterità e, di conseguenza, «insegnano qualcosa anche a noi sull'alterità cristiana».
«Qual è l'alternativa alla ferocia? – si chiedeva don Santoro -. La carità».