di Andrea Riccardi
Fonte:
La Repubblica
Intervista al fondatore della Comunità Sant’Egidio ed ex ministro: “Il presidente era preoccupato dall’orientamento dei cattolici che andava a destra”
«Napolitano ha considerato la Chiesa una componente di grande importanza nella tenuta sociale del Paese. A lui papa Ratzinger confidò per primo, durante un concerto in Vaticano, l’intenzione di dimettersi».Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ex ministro del governo Monti, racconta il rapporto tra il presidente emerito scomparso e il cattolicesimo.
Riccardi, a sorpresa papa Francesco ha reso omaggio a Giorgio Napolitano nella camera ardente. È un fatto straordinario?
«È un fatto che dice due cose: il senso del rapporto che il Papa aveva con Napolitano e il rispetto di papa Bergoglio per lo Stato italiano e gli uomini del Quirinale. È stato sempre un riferimento per la Santa Sede. Anche per il Quirinale di un ex comunista. Il gesto di Francesco è inedito».
Ma quale è stato il rapporto di Napolitano con i Papi?
«Napolitano, anche coerente con la sua visione politica, ha avuto il senso del ruolo della Chiesa in Italia, considerandola una componente della tenuta sociale del Paese. In particolare con papa Ratzinger aveva una affinità intellettuale. A me Benedetto XVI parlò di Napolitano con stima e ammirazione per la sua capacità di lavoro. E Napolitano mi raccontò quando, a un concerto in Vaticano, Benedetto gli volle parlare e gli preannunciò le sue dimissioni, quando solo pochi intimi lo sapevano e in Vaticano era ignorato. Un episodio che la dice lunga anche sul senso di rispetto del Papa per l`autorità del capo dello Stato».
E Napolitano come reagì?
«Napolitano mi disse che fece resistenza, che rimarcò come le dimissioni di un Papa non ci fossero mai state. Credo fosse sconcertato. Ma Benedetto disse: sono stanco, non ne posso più».
Lei è stato ministro del governo Monti, che è stata la scelta di Napolitano più discussa, su cui ancora i giudizi si dividono. Ne ha mai parlato con il presidente?
«No. Fui chiamato per un diverso ruolo nel governo, ma declinai quella prima offerta. Quindi venni richiamato da Monti e da Napolitano che mi disse: abbiamo ritagliato un ministero attorno alla tua figura. Accettai la responsabilità del ministero dell’Integrazione e della cooperazione internazionale. Ho frequentato Napolitano perché seguiva direttamente ogni ministro. Mi sono confrontato con lui su tanti temi. Avevo la sensazione che Monti fosse l’uomo in cui riponesse assoluta fiducia e le sue speranze».
La politica abdicò ai tecnici per salvare il Paese?
«Si è realizzata allora una concentrazione della maggior parte delle forze politiche per affidare a Monti e ai tecnici la responsabilità di tirare fuori il Paese dalle secche in cui eravamo finiti».
Il suo rapporto con Napolitano è proseguito. È stato difficile il dialogo tra un ex comunista non credente e un cattolico come lei?
«Sì, il rapporto è continuato. Era davvero laico Napolitano: aveva il senso realista del ruolo del cristianesimo in Italia. Ricordo una conversazione in cui espresse la preoccupazione per l’orientamento dei cattolici che andava a destra. Parlammo di De Gasperi come colui che aveva portato, dopo il fascismo, il voto cattolico verso una politica di centrosinistra. Mi viene in mente per il 40esimo anniversario della comunità di Sant’Egidio, quando nei saloni del Laterano volle il microfono e parlò della “passione cristiana che vi ha mosso a una grande intelligenza delle cose del mondo, a guardare lontano e a dare il vostro contributo anche in altri continenti, specie l’Africa”. Aggiunse che la comunità aveva una singolare capacità di iniziativa diplomatica. Quando pronunciò la frase “passione cristiana”, mi guardò un attimo, come se temesse di usare una espressione non precisa. Gli sorrisi. Mi piaceva molto quella frase».
Aveva una formazione comunista e era ateo…
«Era non credente. Ma parlavamo dell’importanza del cristianesimo nella storia e, mi sembrava, anche nel futuro del Paese. Era un laico, con la consapevolezza della realtà».
È stato soprattutto un uomo delle istituzioni?
«È stato un politico nel senso vero. E la politica per lui era al servizio dell’Italia, dell’Europa e della pace».
Ha dovuto superare il tabù dei due mandati al Quirinale.
«Durante il discorso di accettazione del secondo mandato, io ero seduto nei banchi del governo a Montecitorio. Fu un momento di grande tensione in cui sfidò la classe politica italiana. Ma aveva una grande sensibilità. Nel 2007 venne all’incontro interreligioso di Napoli e sapeva come muoversi tra ortodossi, musulmani, ebrei, cristiani».
Quale lascito gli riconosce?
«Il valore della politica radicata nella Costituzione. È stato raccolto da Sergio Mattarella, diverso la lui, ma con la stesso sentimento della democrazia italiana».