Fonte: Il Messaggero
ROMA. Ministro Riccardi, che cosa sta accadendo nella nostra città?
«Abbiamo vissuto una giornata molto complicata, che ci dice il punto di tensione al quale siamo drammaticamente arrivati mentre si va verso l'autunno politico di questo governo. Abbiamo visto scene di guerriglia urbana. Abbiamo visto comportamenti assolutamente inaccettabili davanti alla Sinagoga. E nel frattempo, sulle reti, circolano veleni antagonisti, estremisti e persino neo-nazisti».
Si aspettava questa rabbia?
«Speravo che non avvenissero scontri. Ma mi preoccupano ancora di più le esortazioni alla polizia a non difendere il Palazzo e a solidarizzare con forme di ribellismo. Conosco bene i carabinieri e la polizia. So che generalmente esercitano la loro funzione con coraggio e umanità. Dobbiamo essere loro grati».
Da che cosa nasce questo ribellismo?
«I giovani, con cui dobbiamo parlare di più, vedono il futuro bloccato. Hanno avvertito la dequalificazione della loro scuola. Si sentono soli e in un'Italia che ha vissuto anni di fortissimo antagonismo – Nord contro Sud, giovani contro adulti, ragazzi contro anziani -. si disperano e talvolta si lasciano andare alla rabbia. Ci sono poche reti tra i giovani, poche associazioni che fanno sentire la loro voce»
Questo non è un Paese per giovani?
«Sono poco protagonisti, In una società vecchia che difende invece particulari – come diceva Guicciardini – e interessi».
Però, prendersela con la Sinagoga: ma che cosa c'entra?
«Non lo dica a me. Sono sicuro che la gran parte dei giovani non ha condiviso la contestazione alla Sinagoga. Un atto contro il quale mi ribello dal profondo. Dobbiamo difendere con maggiore convinzione la comunità ebraica da queste intimidazioni o da quelle via Internet. Non capisco perché la manifestazione sia stata fatta passare vicino alla Sinagoga, che per noi è un simbolo di fede, di sacrificio e di libertà. Del resto, non avrei autorizzato nemmeno le manifestazioni neo-naziste dei giorni scorsi. Sottovalutiamo il pericolo di un contagio su menti fragili».
La violenza si ritorce anche contro le buone ragioni dei giovani?
«Sì, la violenza distrugge anche le buone ragioni. I giovani hanno le loro e io penso che bisogna riprendere a ragionare con i giovani. Chiedono futuro. Non vogliono sicurezza. Ma speranza, sì. Non vogliono protettori. Ma maestri».
Li trovano?
«E' una domanda difficile. In parte, no. In parte, sì. C'è un'atmosfera troppo avvelenata da una predicazione dell'odio e dagli antagonismi nella comunicazione ufficiale. Credo però che quest'anno abbiamo provato a rasserenare il clima del dibattito politico nel nostro Paese. Solo che questi giovani si sentono lontani dalla politica, che non intercetta le loro domande perchè non riesce a parlare la loro lingua. Occorre riprendere il discorso, favorire il loro protagonismo perchè si sentano parte e non esclusi».
Non rischiamo di lisciare troppo il pelo ai ragazzi, parlando sempre dei loro diritti e non dei loro doveri?
«Sia chiaro: prima di tutto dobbiamo isolare i violenti. Poi, ognuno deve parlare con le sue parole, per intessere il dialogo».
Non si può dire loro, semplicemente: studiate di più?
«Noi abbiamo mandato tanti messaggi in questo senso e molti sono stati ascoltati. Noi non lisciamo il pelo a nessuno. Ma bisogna parlare e parlare del futuro, senza lasciare da soli gli insegnanti e le famiglie infragilite. Torniamo nelle scuole, come fa qualche ministro, senza paura. Convinti che abbiamo buone ragioni, qualche fischio non va temuto».
Il welfare, compresa l'istruzione, non si può cambiare rassicurando, per dirla come Papa Giovanni citato l'altra sera da Bersani?
«Non ho presente questa frase di Papa Giovanni, pur essendone uno studioso. Ma l'idea espressa dal segretario del Pd mi piace. Non dobbiamo temere i cambiamenti. Io, invece, ho molta paura dell'immobilismo di una società italiana che va in frantumi».