Fonte: Il Sole 24 Ore
Alla vigilia della beatificazione di Karol Wojtyla, nei giorni in cui ricorre il sesto anniversario della sua morte, esce il libro Giovanni Paolo II. La biografia di Andrea Riccardi, storico della Chiesa in età contemporanea, che nel 1968 è stato il fondatore della Comunità di Sant'Egidio. L'autore coglie un importante obiettivo, quello di tenere insieme il racconto della vita di un uomo con le principali vicende che hanno caratterizzato la storia della seconda metà del Novecento. E ha il pregio di riuscirvi con una prosa coinvolgente, imperniata su tre assi concettuali principali, che fanno di questo libro una biografia e non un'agiografia.
Il primo riguarda il posizionamento di Giovanni Paolo II nel secolo scorso. Il suo compito è stato quello di confrontarsi con il lascito del Concilio Vaticano II: senza volerlo superare o rifiutare, ma sentendosi in debito con esso e dunque – sono sue parole – impegnandosi per attuarlo. Si tratta di processi lunghi, ma Wojtyla ha avuto il merito di non sfuggire alla domanda del suo tempo: cosa significa essere cattolici dentro un orizzonte secolarizzato come quello attuale? La risposta di Giovanni Paolo II, un modello di fede per i credenti, ma anche una fonte di interesse per i non credenti, viene restituita da questo volume nella sua energia, complessità e consapevolezza dei limiti.
In secondo luogo, il papa polacco ha proposto un governo carismatico fondato su una fede profonda nata per sopravvivere alla tragedia del nazismo e fortificatasi nella drammatica resistenza al comunismo. Questa duplice esperienza ha scolpito in lui un'idea di Chiesa come baluardo di libertà. Tale impostazione è originale nella misura in cui non scaturisce dai tradizionali conflitti giurisdizionali occidentali, bensì è il prodotto, tutto orientale, di un'esperienza di Chiesa perseguitata che rifiuta di ridursi al silenzio come il realismo politico avrebbe consigliato. Questa visione combattiva alimenta in Wojtyla un europeismo convinto, eppure persuaso che il continente possa sopravvivere solo respirando con due polmoni, quello orientale e quello occidentale. Allo stesso tempo, dal trauma dittatoriale scaturisce una serrata condanna del «totismo» nazista e di quello comunista mai disgiunta, però, da una critica serrata a quello che egli definisce il «consumismo-capitalismo» con le sue degenerazioni mercatiste e materialistiche. Il governo carismatico di Giovanni Paolo II si è espresso nella pastoralità del viaggio, nella centralità della comunicazione, in cui la corporeità e la parola svolgono un ruolo fondamentale, nell'investimento sui movimenti postconciliari, con un'energia simile a quella con cui i pontefici postridentini scommisero sui nuovi ordini religiosi.
Questo tratto dell'azione di papa Wojtyla costituisce per i suoi principali critici il limite maggiore: egli avrebbe puntato su una dimensione universalistica e popolare trascurando le realtà locali e diocesane, l'autentico luogo della rinascita e della resistenza dell'alterità cattolica, quella silenziosa, non esposta agli effimeri clamori mediatici degli eventi che riempiono le piazze, ma non le chiese. Non bisogna, tuttavia, credere che il carisma dell'uomo sia stato il prodotto della sua funzione pontificia. Si legga il ritratto del teologo Yves Congar quando lo vide parlare al Concilio per la prima volta: «Wojtyla fa una grandissima impressione. La sua personalità si impone. Da essa emana un fluido, un'attrattiva, una certa forza profetica, molto calma ma irresistibile».
Il terzo asse della riflessione di Riccardi ruota intorno alla dimensione internazionale dell'azione di Giovanni Paolo II e al crescente prestigio della figura che rivela l'efficacia della sua scommessa carismatica. Egli diventa papa al tempo della guerra fredda e finisce il suo pontificato nell'età della globalizzazione, ma ha il coraggio di scommettere sul cambiamento degli equilibri stabiliti a Yalta, anche in controtendenza con la diplomazia vaticana. La cultura di questo papa è quella di un uomo di frontiera e di confine cresciuto là dove la storia sbatteva come una vela al bando, consapevole che la caduta del muro di Berlino non avrebbe rappresentato la fine della storia o la vittoria dell'Occidente, ma l'inizio di una nuova e non meno perigliosa navigazione. Secondo Pascal, un Pascal meditato da Congar, «la grandezza è tenere gli estremi e riempire lo spazio tra loro»: questa sentenza sembra racchiudere il senso dell'esperienza storica di Wojtyla, eminente nella sua capacità di riempire quello spazio che il lavoro di Riccardi ha il merito, forse per la prima volta, di percorrere e di valorizzare.