Fonte: Famiglia Cristiana
Le violenze tra hutu e tutsi fecero circa 800 mila vittime. Parigi cerca l’appoggio di Kigali in vari scenari africani. L’editoriale di Andrea Riccardi
Visitando il museo del genocidio ruandese (che costò la vita a circa 800 mila persone) Emmanuel Macron ha riconosciuto la responsabilità accablante della Francia, termine che significa responsabilità così pesante da sopraffare chi la porta. Il presidente non poteva andare oltre senza causare uno sciame sismico dentro le istituzioni, tra cui l’Esercito. Già Nicolas Sarkozy aveva ammesso i «gravi errori» della Francia nel 1994.
Malgrado alcune proteste delle famiglie delle vittime, il leader ruandese Paul Kagame si è detto soddisfatto: «Dovevamo trovare un epilogo a questa vicenda». Del resto la visita al museo del genocidio, che ho potuto fare tempo fa, dà le dimensioni drammatiche di quegli eventi.
Kagame e Macron hanno ragionato di Africa Centrale, Grandi Laghi, Repubblica Centrafricana (dove ci sono caschi blu ruandesi) e Congo (dove si sta rafforzando la guerriglia islamica dell’Adf). Hanno parlato anche di Uganda (con cui Kigali ha relazioni altalenanti) e del Mozambico del Nord, che preoccupa Parigi.
Macron ha sondato il suo omologo ruandese su un possibile appoggio internazionale a Maputo per combattere la violenta infiltrazione islamista nel Nord. Dopo la scomparsa del presidente del Ciad Idriss Déby, la Francia cerca un partner africano affidabile dal punto di vista militare, per contrastare le influenze concorrenti, tra cui i russi. Kagame sente il peso del suo isolamento. Si potrà arrivare a un patto Parigi-Kigali?
Dagli anni Ottanta il Ruanda è stato un’ossessione per la Francia. Mal consigliato, Mitterrand cercò di allargare lo spazio francoafricano “annettendo” Kigali. Ma gli specialisti della Françafrique non sapevano in che contesto etno-politico stavano mettendo i piedi. Sfuggì loro la profondità del conflitto (accoppiato a quello del gemello Burundi) che travagliava il Ruanda fin dall’indipendenza.
All’inizio degli anni Novanta, davanti all’irrisolta questione dei profughi a causa delle violenze precedenti, l’attacco del Fronte patriottico di Kagame fu interpretato come aggressione anglofila. I francesi non capirono che il Fronte rappresentava una nuova generazione di ruandesi nati nei campi profughi, portatori di una viva memoria dei torti subiti dai padri. Erano il prodotto di massacri precedenti.
Quando l’aereo del presidente hutu Habyarimana fu abbattuto il 6 aprile del 1994, mentre rientrava dopo l’accordo di pace, la Francia non capì che era la scintilla per l’inizio del genocidio contro i tutsi già pianificato dagli irriducibili suprematisti hutu. Era tardi: i media belgi fecero da megafono, sostenendo che la Francia fosse la mandante dell’attentato.
L’impulsiva reazione di Parigi fu l’operazione militare Turquoise che, invece di imporre la fine dei massacri, fu lo schermo protettivo alle forze hutu che commettevano il genocidio ritirandosi verso l’ex Zaire. Certo non c’è un solo colpevole. Tuttavia Parigi cadde nella trappola divenendo corresponsabile.
Dal quel momento, come un fragile castello di carta, venne giù tutta l’ex Africa belga con le guerre collegate del Kivu, i massacri in Burundi e nell’ex Zaire, fino all’occupazione di Kinshasa nel 1997 da parte dei kadogo, i ragazzi soldato reclutati da Desiré Kabila appoggiato dal Fronte patriottico ruandese, guidato da un giovane Paul Kagame. Ma questa è già un’altra storia.