Fonte: Avvenire
La scomparsa di Luca Serianni, grande studioso della lingua italiana, ha lasciato costernati per la maniera violenta in cui è avvenuta e per l’enorme vuoto che lascia nella cultura italiana. Infatti, non basterebbe evocare ritualmente la sua sconfinata bibliografia né la sua partecipazione a significative imprese culturali per vari decenni. C’è qualcosa che va notato, prima di tutto, nella sua personalità. In questo nostro mondo di protagonisti, il grande storico della lingua è stato un uomo schivo e timido, che non s’imponeva. Disse in un’intervista: «Non riesco a essere un conversatore brillante. Tanto deludente in un salotto, quanto efficace in un’aula scolastica».
Serianni è stato un uomo umile, ma per nulla mediocre. Ha mostrato come la grandezza di un intellettuale non si rivelasse nell’imporsi agli altri o ai media, ma nell’intreccio tra scienza e sapienza. Nell’insegnamento ha dato tutto se stesso con una comunicatività eccezionale verso i suoi allievi, cui contagiava il desiderio di studiare e capire di più. Serianni è stato un maestro in questo nostro tempo spaesato che ha perso i maestri, ma ha bisogno di riscoprirli, come scrive Gustavo Zagrebelsky. Un maestro che non s’impone, ma riconosciuto da tanti, all’origine di una ricca schiera di studiosi più giovani. Nel suo rapporto con i giovani, ma anche con il suo pubblico, dava tutto se stesso: «Chi ha scelto di fare l’insegnante non può permettersi il lusso di essere pessimista», diceva.
È stato uno dei maggiori intellettuali cattolici degli ultimi decenni, profondamente laico, per nulla confessionale. Non ha mai vissuto, anche in tempi passati, dietro storici steccati, anzi è stato un animatore di cooperazione intellettuale, di dibattiti, di scambi. Un capitolo importante del suo insegnamento e della sua lezione era proprio il senso dello Stato, il valore della scuola e dell’Università. Amava riferirsi all’articolo 54 della Costituzione (tanto dimenticato), che recita: «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore…».
Nella sua sobrietà laboriosa e nelle convinzioni che comunicava con estrema umiltà, Luca Serianni aveva un animo da grande cristiano, formatosi nel contatto con la Bibbia e con i grandi testimoni della spiritualità cristiana. C’era in lui qualcosa di profondamente francescano, che si esprimeva nella semplicità umana, nella generosità verso i giovani ma anche verso i più poveri. Francesco d’Assisi, la cui rivoluzione religiosa e culturale era qualcosa su cui aveva meditato, rappresentava una segreta ispirazione nel vivere la vita. Viveva infatti la sobria serenità di una vita generosa, aperta e offerta agli altri. Serianni, ricco di cultura, di riconoscimenti accademici, stimato conferenziere, autore di testi di successo, era un uomo povero e semplice: sì di una povertà francescana.
Non abitava nei quartieri pregiati della capitale, che segnano anche uno status oltre a offrire comodità maggiori, ma era sempre rimasto nella periferica Ostia, dove ha insegnato a scuola da giovane e dove è morto, investito — come purtroppo troppi a Roma — da una guidatrice distratta. Anzi si sottoponeva al viaggio quotidiano, non breve e sovente disagevole, per raggiungere il centro della capitale. Non è un caso che una dei suoi ultimi interventi sia stato in ambiente popolare, ad Ostia, con la Comunità di Sant’Egidio.
Ho conosciuto da vicino Serianni come vicepresidente della Dante Alighieri con la sua capacità di condividere larghe visioni sul ruolo della lingua italiana nel mondo, ma anche di farsi divulgatore e conferenziere a livello molto semplice. In Serianni c’era la concezione della continuità tra cultura alta e cultura popolare, senza cui la prima restava arida erudizione. L’accademico dei Lincei era infatti convinto che l’erudizione, la più raffinata, si potesse spezzare e comunicare, perché in un Paese sconnesso c’era una cultura di popolo da ritessere.
La sua lezione di studioso si lega profondamente alla testimonianza di cristiano proprio nel valore della parola, parola degli uomini e delle donne, parole dei profeti, parola di Dio. Egli scrive in un libro, intitolato “Parola”: «L’importanza della parola, che può essere fonte di vita o di morte, di giustizia e di ingiustizia, di illuminante sapere o di cieca ignoranza è ben presente nelle tre religioni rivelate, che non a caso si definiscono “religioni del libro”…». Serianni è stato un uomo della parola: parola studiata, parola del credente, parola leale con gli amici e i colleghi, parola comunicata con la sapienza di decenni di studio e di confronto costante. Fragile e riservato, ha vissuto proprio abitato da questa forza della parola.