Fonte: Corriere della Sera - SETTE
Nei giorni scorsi, molti sono intervenuti su Umberto Eco, dopo la sua scomparsa: un grande umanista italiano di livello internazionale, espressione coerente della cultura italiana, ma anche figura rara ai nostri giorni. Mi vorrei solo soffermare su un aspetto – non il più noto – della sua riflessione: gli immigrati. Nel 2012 ero ministro della Cooperazione e integrazione nel governo presieduto da Mario Monti. C`era stata in quei mesi un`indiscutibile evoluzione nell`opinione pubblica sul modo con cui si dibatteva sugli immigrati, con l`abbandono di paure («parlarne fa perdere i voti») o di stereotipi, come l`invasione. Restava la domanda centrale sull`integrazione. Chiesi sostegno a Umberto Eco. Era il novembre del 2012 ed Eco intervenne in un convegno, organizzato dal mio ministero e dall`Università per Stranieri di Perugia. Avevamo dinanzi la crisi del modello francese d`integrazione (assimilazionista) e di quello britannico (multiculturale).
Ero convinto – e lo sono ancora – che l`Italia si fosse mossa fino ad allora in modo pragmatico, non per questo sbagliato. Ma ci voleva maggiore chiarezza: il futuro sarebbe stato l`integrazione o il conflitto? Ce lo chiediamo oggi, più di ieri. Eco parlò in una prospettiva storica. L`Europa frutto di una lunga storia di meticciato tra po- poli e culture, oggi sembra omogenea: «IL problema è che in un periodo abbastanza breve…», disse, l’Europa sarà un continente multirazziale, o se preferite, colorito. Se vi piace, sarà così, e se non vi piace sarà così Io stesso».
La nostra storia sarà questa, ma come arrivare al domani? Eco notava: si dovranno prendere decisioni difficili. La sua proposta, come cuore del modello futuro d`integrazione, non era ideologica: la “negoziazione” (che governa tanti aspetti della società e non solo dell`economia e della politica). Questa però comporta una coscienza matura – aggiungeva – di ciò che siamo: «Riflettere sui nostri parametri significa anche decidere che siamo pronti a tollerare tutto, ma che certe cose per noi sono intollerabili». Negoziare porterà a cambiare, ma non ad autodistruggersi. Per Eco, la negoziazione doveva diventare il centro del processo integrativo. È in parte avvenuto spontaneamente in Italia, dove l`integrazione -con scarsa regia pubblica – si è svolta tramite la famiglia (si pensi al gran numero di badanti e colf), ma anche la piccola e media industria. Per non parlare del ruolo fondamentale della scuola. Un compito importante appartiene oggi alle religioni che, quasi per tutti gli immigrati, conservano la memoria dell`identità e delle norme tradizionali di vita. Qui c`è la questione dei musulmani, i cui leader territoriali e nazionali vanno inseriti in un contesto interattivo di relazioni con gli altri capi religiosi e con le istituzioni. Come ministro, volli una conferenza permanente “Religioni, cultura e integrazione”, cui partecipavano i leader religiosi -tra cui i musulmani -, valorizzando la loro capacità integrativa rispetto ai fedeli. L`integrazione dei leader religiosi sul territorio in contatto con le istituzioni è un fatto decisivo: il dialogo sociale e interreligioso è la negoziazione della vita quotidiana. Per questo, ci vogliono iniziative, strumenti e cultura, che spesso mancano. Ci vuole soprattutto la visione del futuro che Umberto Eco indicava: saremo una società meticcia. A questo, dobbiamo prepararci e non vivere come se non fossimo noi a decidere il domani, lasciando passare il tempo. Grandi società del mondo, si pensi all`America Latina, sono riuscite nell`integrazione. Però oggi non si può lasciare al caso la costruzione del futuro. Ci vuole una visione.
In parte il modello ha funzionato spontaneamente in Italia tramite la famiglia, l`industria e la scuola. Ma non possiamo lasciare al caso la costruzione del futuro. Ci vuole una visione.