Fonte: Corriere della Sera
Secondo il pontefice la politica va verso «una più ampia frammentazione di soluzioni», smarrendo il senso di un interesse comune mondiale
Il mondo globale, in conflittualità permanente , è definito «the age of unpeace» da Mark Leonard, direttore del European Council on Foreign relations.
Mario Giro, su Domani traduce unpeace con «che disfa la pace»: «Siamo come su un piano inclinato in cui si pensa che l’unico atteggiamento da avere sia quello bellicoso».
Lo si vede dal tono concitato delle relazioni internazionali. In questo quadro la voce del papa appare fuori dal coro: può apparire anacronistica, modulata su una vecchia idea di diplomazia e di multilateralismo.
Il discorso di papa Francesco al corpo diplomatico è invece ancorato a una visione consolidata e secolare della Chiesa: la pace è il valore, mentre la guerra va evitata tenacemente.
Dall’inizio del Novecento, i papi hanno riproposto questo messaggio, che Benedetto XV espresse con forza nel 1917: la guerra è «un’inutile strage».
Francesco, in Fratelli tutti (anche un’enciclica sulla pace), manifesta la coscienza storica della Chiesa: «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato». La memoria storica è importante per la Chiesa, tanto che il papa prende posizione contro la cancel culture, in favore di un giudizio fondato sull’ermeneutica dell’epoca (in base alla quale anche la Chiesa chiede di essere giudicata).
Il discorso di Francesco sulla pace ha accenti desueti per il realismo politico. L’aspirazione alla pace non è in cima ai propositi dei nostri giorni. Nessuno la nega, ma chi la persegue? Langue la diplomazia multilaterale. Il papa però elogia la diplomazia che può «favorire la concordia e sperimentare come, quando superiamo le sabbie mobili della conflittualità, possiamo riscoprire il senso dell’unità profonda della realtà».
Di fronte a molteplici polarizzazioni, prospetta una diplomazia fondata sull’inclusione e il dialogo, perché effettivamente rispondente al mondo globale. È lo stesso atteggiamento che da lui perseguito nel mondo religioso, di fronte alla crisi dell’ecumenismo e alle fratture tra cristiani, come quella nel mondo ortodosso tra Mosca e Costantinopoli.
La recente pandemia ha rivelato un destino comune tra i popoli. Francesco, nella statio orbis, il 27 marzo 2020, in un momento cupo, ha mostrato con forza che «siamo tutti sulla stessa barca». La Chiesa si è fatta alleata della lotta al Covid 19 nell’universalizzazione del vaccino, mentre altri mondi religiosi — si pensi ai cattolici tradizionalisti o a vari ambienti ortodossi e teocon — si sono qualificati no vax. Sono posizioni ideologiche: «ogni affermazione ideologica — dice il papa — recide i legami della ragione umana con la realtà delle cose».
È interessante l’alleanza tra cura, scienza e cattolicesimo (in alcune parti del mondo, un attore della campagna vaccinale).
La realtà del mondo è una e va gestita in modo conseguente. Il tema dell’emigrazione è tra i più divisivi. Francesco, durante il recente viaggio a Lesbo in Grecia, ha posto l’isola come paradigma delle contraddizioni. Ha constatato la generosità, ma anche «muri o fili spinati». Nel discorso ai diplomatici, il papa non si è mostrato un «fondamentalista dell’accoglienza», come talvolta è rappresentato: a nessun paese è chiesto l’impossibile, «ma vi è una netta differenza fra accogliere, seppure limitatamente e respingere totalmente». Bergoglio ha portato con sé a Roma un gruppo di ospiti dei campi di Lesbo e di Cipro, a suo carico, come segnale che non si può chiudere la porta. Importante è la collaborazione con l’Italia, al cui popolo il papa non ha lesinato apprezzamenti sullo «spirito di apertura generosa e solidale».
«Le grandi sfide del nostro tempo sono tutte globali»: è il fondo del ragionamento di Bergoglio. Invece la politica va verso «una più ampia frammentazione di soluzioni», smarrendo il senso di un interesse comune mondiale. È un allarme per il degrado di questa politica, causa di frequenti tensioni internazionali: tipico frutto della poca memoria. La seconda guerra mondiale è un ricordo sfumato anche per la scomparsa di tanti testimoni. Non si stanno chiudendo i conflitti aperti, mentre la vita internazionale s’inerpica per nuove sfide pericolose. Nel lessico indurito delle relazioni tra governi, il papa rimette in circolo il grande tema della pace, come prioritario interesse di tutti: «occorre… recuperare il senso della nostra comune identità di unica famiglia umana».
Anacronistico? Utopia? Talvolta, l’anacronismo non è tradizionalismo, ma segnale d’allarme e visione del futuro.