Fonte: Corriere della Sera
Esce domani per Solferino «Nel cuore della vita» di monsignor Nunzio Galantino. Qui la prefazione di Andrea Riccardi
Il mondo globale ha cambiato tanto la vita e i rapporti tra le persone e i gruppi con un effetto paradosso: ha aperto orizzonti larghi e inediti (tanto che talvolta si teme l’«invasione» dell’altro che viene da lontano), mentre ha provocato — per reazione — chiusure attorno alla propria persona o a quello che si crede il proprio mondo. Questo processo ha introdotto tante novità, ha capovolto standard di relazioni consolidate, minato sicurezze e reso tutto più complesso. La donna e l’uomo contemporanei sono spesso spaesati, come affermava lo scrittore franco-bulgaro Tzvetan Todorov. È una storia che dura da quasi tre decenni, ma la pandemia ha aumentato lo spaesamento e ora ci si trova un po’ disarmati di fronte al futuro. Non abbiamo, almeno in parte, gli strumenti adeguati per affrontare gli orizzonti del mondo globale e a volte la nostra stessa esistenza personale in questo quadro rinnovato. Në1caso della pandemia, troppi pensanti e agiscono come se si potesse ritornare al passato, quasi fosse stata una parentesi spiacevole.
Ci vuole invece una visione del futuro. Facile dirlo, ma come può realizzarsi tutto questo? Con quali parole e idee elaborare o discutere la visione di domani? Nunzio Galantino, in questo libro, raccoglie idee, riflessioni e parole per «prendersi cura del mondo», cioè la vita di domani. È convinto, come scrive, che «rendere il mondo migliore è rendere migliori se stessi». Non si tratta di illustrare un progetto elaborato o di comunicare verità assolute.
L’Autore discute di passaggi decisivi dell’esistenza, propone percorsi, offre riferimenti letterari, storici, umanistici e religiosi, dà insomma materiali per pensare e per discutere. La sua ambizione non è somministrare risposte tranquillizzanti per chiudere le questioni. Del resto fa tesoro anche di Charlie Brown, citato accanto a grandi figure del pensiero, quando dice: «Quando pensi di avere tutte le risposte, la vita ti cambia tutte le domande». Chi può dire di non averlo mai sperimentato? L’Autore comunica ai lettori frammenti di sapienza e di vissuto, senza presunzione dottorale, in maniera aperta, intelligente e problematica. Non si può affermare, come scriveva Hans Urs von Balthasar, «il tutto nel frammento», ma in un frammento c’è molto, più di quanto si creda. Sono frammenti, ma al fondo si sente l’unità di un robusto atteggiamento di ricerca. La lettura del volume rasserena, proprio perché apre percorsi di ricerca in un mondo in cui sembra difficile pensare con speranza, migliorare le proprie relazioni, andare in profondità e soprattutto provare a costruire un futuro migliore.
Galantino è un credente, un vescovo, ma queste pagine non hanno un sapore ecclesiastico. È un pensare laico e realista, che porta l’impronta della fede nella volontà di cercare: sì, cercare al di là dei luoghi comuni, dei cimiteri di parole svuotate, banalizzate e logorate, oltre gli atteggiamenti e i legami usurati, lasciando da parte il linguaggio stereotipato della stessa Chiesa. Leggere queste pagine, passare tra le argomentazioni e le esperienze di Galantino, i richiami ai pensatori o agli scrittori (fatti in maniera leggera e non asseverativa) contribuiscono a ridare la gioia di pensare che è aprire e non concludere, chiudendo i problemi.
L’Autore fa riflettere sui rapporti con gli altri, come quando discute dell’arte della riconoscenza; o sulla persona e il suo mistero; oppure su come realizzare una presenza utile nella società. Tratta dell’incontro/scontro, che caratterizza spesso la vita quotidiana. A un certo punto, evoca la figura dell’ingenuo con una lettura originale: è «l’uomo ben inserito tra la realtà e l’ideale». Complessivamente, si muove su un duplice registro, l’esperienza di umanità del nostro tempo da una parte e, dall’altra, la storia, la cultura, la sapienza religiosa e umanista, un patrimonio troppo spesso archiviato o abbandonato agli eruditi o ai tanti specialismi. In queste pagine, non si trova un credente inchiodato sui princìpi o che almeno si presenta come tale, ma l’uomo interrogato dalla vita e l’intellettuale in ricerca. Questo è, per me, il valore del libro: un breviario di umanesimo quotidiano, che aiuta a non aver paura delle domande o degli orizzonti vasti. Galantino considera una qualità decisiva l’essere «mendicanti in cerca di scintille di senso». Scrive: «La mendicanza […] corrisponde esattamente a ciò che siamo, specie nel nostro mondo occidentale: mendicanti. Ma non di ciò che ci serve per sopravvivere, bensì di ciò che ci può far vivere». La metafora del mendicante può apparire forte: può sembrare anche inattuale in un mondo occidentale ricco, tecnologico, pieno di risorse, in cui troviamo immediatamente risposte di ogni genere sul web. Il mendicante è figura di un povero e di un cercatore per vivere, dipendente dagli altri, marginale nella società, ridotto alla penuria. Ma questa metafora ritorna in grandi figure. Poco dopo la morte di Lutero, che lasciava in eredità un grande pensiero biblico-teologico, fu trovato un suo biglietto, forse il testamento spirituale, in cui si leggeva: «Wir sind Bettler. Das ist wahr» (Siamo mendicanti. Questo è vero). Cercare fino alla mendicanza, in questo libro, diventa un atteggiamento pacato e attento alle parole e ai linguaggi, ai rapporti con gli altri, alla persona, alla sua presenza e ai suoi limiti. Ernesto Buonaiuti, modernista romano, passato attraverso una vicenda travagliata di ricerca intellettuale e religiosa d’inizio Novecento, alla fine della sua autobiografia, Pellegrino di Roma, scriveva: «Non c’è conquista sociale, non c’è livellamento economico che possano togliere all’uomo i suoi connotati di “accattone” che chiede a Dio e al mondo la possibilità di colmare le deficienze radicali e inguaribili della sua natura fragile e lacunosa. Non ci sono riforme sociali che possano affrancare l’uomo dalla dura necessità di mendicare al cospetto dell’universo quel che occorre alla sua fame di amore, alla sua esperienza del dolore, alla lacerazione nel rimorso, al distacco tragico della morte». Sono parole gravi, marcate dalla sensibilità acuta di Buonaiuti. Ma viene da chiedersi se, dopo questa pandemia, che ci ha spogliato di tante sicurezze e presunzioni, non sia necessario riscoprire, almeno un poco, i nostri connotati di «accattone» e la necessità di mendicare, insomma cercare con convinzione, umiltà, insistenza e apertura d’orizzonti. Spesso gli strumenti di questa ricerca sono arrugginiti: le parole banalizzate o svuotate da usi casuali e inappropriati, mentre i linguaggi ingessati. Galantino, nostri pensieri sono fatui, la lingua diventa sgradevole e sciatta, ma la trascuratezza della lingua favorisce a sua volta la tendenza ad avere fatui pensieri». Questo libro suggerisce garbatamente una proposta: prendersi una pausa, distaccarsi da un linguaggio che corre approssimativo e stereotipato, soffermarsi un po’ su idee, parole, situazioni: «È l’unico modo di cui disponiamo per spezzare le sequenze di pregiudizi, di valutazioni indotte e di attese irreali con cui l’ambiente circostante cerca di forgiarci». parlando della sciatteria del linguaggio, cita George Orwell: «Poiché nostri pensieri sono fatui, la lingua diventa sgradevole e sciatta, ma la trascuratezza della lingua favorisce a sua volta la tendenza ad avere fatui pensieri». Questo libro suggerisce garbatamente una proposta: prendersi una pausa, distaccarsi da un linguaggio che corre approssimativo e stereotipato, soffermarsi un po’ su idee, parole, situazioni: «È l’unico modo di cui disponiamo per spezzare le sequenze di pregiudizi, di valutazioni indotte e di attese irreali con cui l’ambiente circostante cerca di forgiarci».