06/05/2025 Anniversario de La Civiltà Cattolica. L’intervento del professore Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio

di Andrea Riccardi

Fonte: La Civiltà Cattolica

In occasione del 175° anniversario de La Civiltà Cattolica, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, riflette sul segreto della longevità e dell’attualità della rivista: la sua natura comunitaria, l’autonomia culturale e la fedeltà alla Chiesa e al Papa. Riccardi sottolinea come il Collegio degli scrittori, composto da gesuiti di diverse generazioni, abbia garantito continuità e rinnovamento, rendendo la rivista un osservatorio privilegiato dei cambiamenti della Chiesa e del mondo.

Ricordare i 175 anni de La Civiltà Cattolica non è solo un omaggio alla vetustà d’una impresa editoriale, ma interroga sulla comprensione di tanta durata e, nonostante il tempo trascorso, della permanente attualità di una rivista che non sa di vecchio. Anzi, essa oggi si ripropone con una nuova scadenza mensile, con tematiche attuali, come l’articolo sull’influencer del numero 4189. La sua longevità può essere accostata alla Revue des deux mondes, che è del 1829, o alla Nuova Antologia, del 1866, diretta da Spadolini (che ha studiato nella biblioteca della Civiltà, a Ripetta). Quale il segreto della continuità e dell’attualità? È prima di tutto nel soggetto: il Collegio degli scrittori, generazioni che cambiano e quindi sensibilità diverse, tutti gesuiti, corresponsabili di quanto pubblicato, tanto che fino al 1933 gli articoli non erano firmati. Il Collegio, eretto Istituto pontificio da Pio IX nel 1866, non è solo una redazione, ma una comunità dedicata a un’impresa culturale. Un «gruppo culturale autonomo», secondo Gabriele De Rosa, nell’Introduzione alla raccolta della rivista. Il segreto è anche nella geografia dei dichiarati riferimenti: la fede cattolica, la Chiesa e il Papa. L’autonomia di un gruppo pensante, espresso da un Istituto come la Compagnia di Gesù, ne garantisce la vitalità. La vicinanza al Papato lo mette a contatto con le preoccupazioni e le visioni dei vari Papi e lo fa essere un osservatorio che, tra Ottocento e Novecento, si allarga dall’Italia e l’Europa al mondo. Cambiano le forme di contatto tra la rivista e il Papa, ma il riferimento primario resta. La rivista è legata a una romanità, che non è provinciale, ma spazia su scenari vasti del mondo. Tuttavia la rivista nasce italiana ed è italiana, tanto che p. Nuno da Silva Gorwalves è il primo direttore non italiano. Periodico «nazionale» nel 1850: «indigeno da Susa in sino a Malta e da Nizza in sino a Trieste», quando la nazione era un fatto culturale, lo Stato unitario non esisteva (ma c’erano sette Stati) e l’Italia era un’espressione geografica. Si scrive in italiano, non in latino, come qualcuno avrebbe desiderato. La Civiltà contribuisce culturalmente e linguisticamente all’Unità, che poi avrebbe combattuto nella forma dello Stato liberale, e contro la fine della Roma dei papi. L’iniziale diffusione italiana della rivista è un test delle barriere che dividevano la Penisola e che mettevano a dura prova la genialità dei padri per la resistenza delle frontiere intra-italiane. La grande domanda del cattolicesimo nell’Ottocento di fronte al mondo nuovo, quello liberale nelle sue varie espressioni, è: «Adattarsi o no?». La risposta della rivista non è cattolico-liberale. Quella di Pio IX è: «Non adattarsi», non farsi dettare l’agenda dai vincitori. La restaurazione dell’Ancien Régime si è rivelata impossibile, si vuole allora creare un’alternativa anche culturale. La Civiltà è moderna, non nostalgica del legittimismo; nasce dalla constatazione che il mondo è plurale e qui va affermata la visione cattolica nel modo più attuale, con la stampa come con i più recenti movimenti. Il cattolicesimo rifiuta di essere – com’era nel disegno dei governi liberali unitari – l’istituzione di assistenza religiosa al popolo italiano, ridotta alla parrocchia, con la fine del radicamento sociale della Chiesa, delle Congregazioni religiose e delle opere cattoliche. Privo insomma dello spessore sociale autonomo della Chiesa. Un grande maestro, lo storico Émile Poulat, insegnava che questa è l’intransigenza: la strategia per cui la Chiesa non si adatta alla civiltà liberale, come più tardi non lo farà con il movimento socialista. Afferma l’esistenza di un’altra civiltà, quella cattolica. L’intransigenza talvolta diventa polemica e invettiva, altre volte assume toni quasi profetici. La parola «intransigenza» non esprime un giudizio negativo sulla postura storica, ma fotografa l’atteggiamento del mondo cattolico di fronte a quello moderno. Non è conservatorismo, anche se a tratti potrebbe esserlo. È un’utopia di civiltà cattolica, talvolta restaurazione, talvolta anche rivoluzione, tanto che i governi liberali parlano di «pericolo nero». Il titolo della rivista è il suo programma. Scrive Curci: «Nostro programma come nostro titolo, nostra insegna come nostra divisa, nostra solenne professione di fede: la civiltà cattolica». Non c’è altra civiltà che l’europea e – sostiene Curci – «l’incivilimento» è stato opera cristiana, cattolica e romana. Dall’altra parte stanno le «barbarie del paganesimo». Quindi si susseguono gli avversari, moderni barbari. E la rivista sa essere pugnace in maniera argomentata. Giuseppe De Rosa, nel libro dedicato ai 150 anni della rivista, scrive che lo scontro è con «liberalismo, massoneria, modernismo, socialismo, comunismo, fascismo, nazismo». Aggiungerei: anche con l’ebraismo. Nel trattare di queste battaglie non si può essere astorici. La Civiltà ha una lunga storia, anche se la storia non è un’ideologia: la rivista cambia con la Chiesa nella storia, e quella di oggi non si assume le battaglie o i giudizi di ieri. Un esempio è l’atteggiamento verso l’ebraismo. Ci sono passaggi duri, come: «Il giudaismo impera signore», scriveva a fine Ottocento p. Ballerini. Ci sono i testi sull’omicidio rituale; nel 1910 il saluto per la morte di Karl Lueger, sindaco di Vienna, come liberatore dagli ebrei; o lo scritto di p. Barbera, il quale nel 1937 parlava di segregazione amichevole e recensiva favorevolmente Nicola Pende, direttore della sezione eugenetica del Cnr; o l’approvazione della politica antiebraica del regime di Horthy. P. Giovanni Sale spiega che l’antigiudaismo religioso e politico circolava nella rivista, come in Vaticano e nella Chiesa, anche se Pio XI fece barriera al razzismo e all’antisemitismo. Si pensi che sui terribili massacri nazisti e ucraini di Leopoli, durante la Seconda guerra mondiale, l’incaricato della questione ebraica della Segreteria di Stato, mons. Angelo Dell’Acqua, appuntava: «Occorre assicurarsi che corrispondano ai fatti, perché l’esagerazione è facile anche tra gli ebrei». Nel 1943, lo stesso Dell’Acqua notava che troppi in Vaticano «si interessavano fin troppo (in modo oserei dire esagerato) degli ebrei». La rivista scrive quello che molti cattolici ed ecclesiastici pensano. L’ostilità moderna verso gli ebrei era non solo riesumazione dell’antigiudaismo, ma anche spiegazione mitica e ideologica della complessa modernità: una griglia per spiegare il moderno in modo cospirazionista. Così il liberalismo e il comunismo, contraddittoriamente, si spiegavano con la presenza ebraica e la sua volontà di potere. La Civiltà vuole creare un’opinione pubblica papale in Italia e non solo. Scrive Curci nel 1850: «riordinamento ideale senza cui qualunque altro mezzo può ben palliare il male ma non guarirlo». Non vuole essere una rivista elitaria, anche se pensata e fondata sullo studio, correttamente pensata, ma militante. Una continuità di linea impressionante, dovuta alla vicinanza al Papa, è sul tema della pace. La rivista è voce del Papa sulla pace e sulla guerra. Lo vediamo con Benedetto XV nella Prima guerra mondiale, con Pio XII nella Seconda guerra mondiale, ma anche nella guerra in Iraq, quando le parole di Giovanni Paolo II contro di essa, nella versione italiana della Cei, furono edulcorate; La Civiltà Cattolica rifletté, invece, l’assoluta fermezza della visione di pace del Pontefice. La voce del Papa dà fastidio: con Pio XI, i locali della rivista vengono visitati dagli squadristi, e la rivista è censurata, tanto che se ne avvisa la delegazione apostolica negli Usa perché faccia sapere il perché dei silenzi. P. Sale mostra come i Papi cambiano, cambia la Chiesa e cambiano le diverse generazioni di scrittori e direttori. Pio X chiede più transigenza sulla politica italiana, ma rigore sulla dottrina. C’è qui una contrapposizione forte tra p. Rosa e Buonaiuti, che raffigura la rivista come una sentina di inquisitori. È interessante notare come, nonostante i lamenti della Segreteria di Stato di Merry del Val, Pio X usi i gesuiti de La Civiltà Cattolica per vari incarichi. Qui i Papi trovano i loro collaboratori: Pio XII con p. Lombardi e altri; ma anche papa Francesco, con p. Spadaro, per spiegare alcuni aspetti della sua visione. Con Pio XII la rivista è nel cuore del disegno pacelliano. C’è p. Lombardi (il quale si incontra con madre Pascalina, che gli dà l’annuncio che «finalmente» Montini sarà mandato via dalla Segreteria nel 1954); ma anche p. Martegani, direttore, figura influente politicamente e critico verso De Gasperi. La rivista vuole avere un ruolo ispiratore nei confronti dell’Italia della Costituzione e della democrazia. Come studioso di quegli anni, ho trovato la rivista una grande fonte per seguire i dibattiti, i contrasti, le prospettive. Con ogni Papa c’è una sintonia da stabilire. P. Sorge, che ha esercitato un ruolo importante nel cattolicesimo italiano, che è espressione dell’autorevolezza della rivista, raccontava di un incontro con il neoeletto papa Wojtyla, dopo che un testo era stato respinto dalla Segreteria: «Cominciai a leggere il testo. Giunto alla frase incriminata, mi fermai. “Santità – gli dissi -, Lei sa l’amore e l’obbedienza che i gesuiti hanno per il Papa. Mi dica liberamente: se mi dice che devo cambiare, sono pronto a cambiare di 360 gradi!”. Giovanni Paolo II mi guardò con due occhi furbi che non dimenticherò mai: “Quanto ha detto, padre?”. E io, con maggiore fervore a ripetere: “360 gradi!”. “Mi sembrano un po’ troppi”, esclamò il Papa ridendo, “perché se Lei cambia di 360 gradi, torna dov’era prima!”. Ero caduto nella trappola, e risi anch’io». Un fatto qualificante in quasi due secoli è il fare cultura, non accademica, ma a partire dalla fede e dalla Chiesa. Oggi siamo in una stagione caratterizzata da un fenomeno impressionante, la deculturazione delle religioni, come scrive Olivier Roy, i fondamentalismi protestanti e pentecostali (mezzo miliardo e più di persone), quelli islamici e altri, il mondo religioso dell’emozione. Per essi la cultura, la storia, la civiltà non esistono, ma c’è l’oggi emotivo del religioso. San Giovanni Paolo II diceva: «La fede deve trasformarsi in cultura». E nel 1982: «Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta». La fede non si riduce a cultura, ma si trasforma in cultura e trasforma la cultura. Siamo in tutt’altra prospettiva rispetto alle religioni deculturate, che sono le favorite nel mondo del XXI secolo. Una prospettiva controcorrente, perché – come scrive Jacques Attali – ci troviamo in un mondo che va verso l’affermazione dell’homo ipersapiens in mezzo a una schiera di rappresentanti dell’homo barbaricus. La Civiltà Cattolica è l’espressione di una cultura informata e popolare, per cui la divulgazione è decisiva, senza eccessi di emotività. La rivista nasce dopo il 1848, quando il cattolicesimo assume progressivamente l’aspetto di movimento, di popolo e diventa necessario formare un’opinione pubblica. La grande svolta è rappresentata dal Concilio. C’è un distacco con l’intransigenza dei primi 100 anni: «I buoni padri de La Civiltà Cattolica per ogni cosa giù lacrime e lacrime! E che cosa hanno ottenuto? Bisogna vedere il bene e il male e non essere sempre pessimisti su ogni cosa», diceva san Giovanni XXIII. La rivista ha un ruolo di forte promozione dei grandi temi del Vaticano II (a partire dalle «Cronache del Concilio» di Caprile). Cattolico diventa ecumenico, non solo nel senso di inter-cristiano, ma universale. Il mondo come casa in cui si abita. Questa è la visione della rivista, dal Concilio finora, soprattutto con papa Francesco. Oggi siamo nella stessa linea quando La Civiltà, con la direzione di p. Spadaro, si globalizza con l’edizione in inglese, francese, coreano, spagnolo, oltre all’attenta presenza su internet. La Civiltà Cattolica esprime un cristianesimo nella storia, confrontandosi con i temi emergenti, ragionando senza paura in un mondo che Gramsci definiva «grande, terribile e complicato». Un contributo oggi riscoperto decisivo, perché, come diceva san Paolo VI nella Populorum Progressio (e questo vale ancor più per il presente), «il mondo soffre per mancanza di pensiero». Grazie ai padri de La Civiltà Cattolica che ci hanno aiutato e stimolato a pensare e a vivere una «fede pensata».

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