Fonte: Avvenire
Un libro di Zuccolini racconta gli intensi rapporti del cardinale con la Comunità di Sant’Egidio e la sua predilezione per gli ultimi.
Pubblichiamo ampi stralci della prefazione di Andrea Riccardi al libro di Roberto Zuccolini La Parola e i poveri. Storia di un’amicizia cristiana in uscita per San Paolo (pagine 562, euro 25,00).
La prima sezione contiene la storia della lunga amicizia tra Martini e la Comunità di Sant ’Egidio, durata dalla metà degli anni Settanta alla morte del porporato nel 2012. Dal racconto emergono aspetti originali di questa grande figura della Chiesa contemporanea.
La seconda parte raccoglie alcuni testi di Martini, in parte inediti: lettere, relazioni, omelie o discorsi pronunciati nel corso di eventi con Sant ’Egidio, più altri relativi ad anni immediatamente precedenti l ’incontro con la Comunità.
Questo libro narra la storia di un ’amicizia: quella tra il cardinal Martini e la Comunità di Sant ’Egidio. Un’amicizia nata negli anni Settanta e durata fino alla sua morte, nel 2012. Leggendolo, mi sono affiorati tanti ricordi, soprattutto le costanti conversazioni sulla vita della Chiesa, i problemi della società, gli orizzonti del mondo. Martini, che esteriormente poteva apparire anche freddo, era in realtà un uomo molto fedele nei rapporti, capace di partecipare intensamente alla vita degli amici. Anche negli anni in cui era divenuto una personalità molto nota e un riferimento per tanti, dentro e fuori la Chiesa, l ’arcivescovo di Milano era un amico semplice e sincero, anche se pressato da impegni e problematiche, non solo relative al suo governo diocesano, ma anche agli ambienti e alle persone con cui veniva a contatto. Riservato, il cardinale non si imponeva: curioso di conoscere, chiedeva molto e amava ascoltare. (..) Con molta acutezza monsignor Bruno Forte, che gli e stato tanto vicino, ha osservato: «L ’atteggiamento ignaziano della riverenza fondava anche il modo in cui Martini si poneva nei confronti della cosiddetta cultura “laica”, dei non credenti e di tutti i possibili cercatori di Dio: egli sapeva accogliere ed ascoltare tutti, non imporsi a nessuno. La certezza che il dono della rivelazione divina e destinato a ogni uomo e a tutto l’uomo spingeva Martini a cercare vie d’incontro, di dialogo e di reciproca comprensione con tutti. Ascoltando le ragioni dell’altro, egli sapeva crescere nella consapevolezza del dono di credere e riusciva a camminare con l ’altro senza forzature né compromessi, sui sentieri dell ’obbedienza alla verità». Era diventato capace di un respiro largo e profondo: un uomo che sapeva aprire gli ambienti diocesani a una dimensione universale. (…) Il suo era un approccio sempre caratterizzato da amicizia e ospitalità. Roberto Zuccolini, autore di questo volume, ricorda l ’incontro con il gran muftì di Siria, Ahmed Kaftaro, che Martini ricevette nel 1985, nel palazzo arcivescovile con grande attenzione e quasi solennità. Cominciava in quel periodo la sua conoscenza dell ’islam, che il cardinale avrebbe poi sentito come una realtà con cui si dovevano fare i conti con serietà, sia per quel che riguarda gli immigrati che nel dialogo interreligioso. (…)
Il Martini che ricordo, prima della nomina a Milano, era un gesuita simpatico, ma timido, quasi imbarazzato a intervenire senza essersi preparato. Era un uomo che confessava apertamente di essere un po’ fuori dal mondo, di non leggere spesso il giornale, di essere immerso nel mondo della Bibbia. Non aveva idea, ad esempio, di chi votare alle elezioni. L ’ho conosciuto quando aveva cominciato a frequentare Sant ’Egidio, dopo l ’incontro con Vincenzo Paglia, verso la metà degli anni Settanta, partecipando ad alcune iniziative avviate dalla Comunità soprattutto nel mondo dei poveri e nelle periferie della capitale.
Zuccolini rievoca con molta efficacia alcuni episodi di questo periodo, raccogliendo documentazione e testimonianze orali, insieme a numerosi interventi e relazioni del cardinale stesso. Martini non era uno di Sant’Egidio, ma un grande amico. Si coinvolgeva personalmente, ma non ‘s’iscriveva ‘, anzi conservava sempre senso critico che metteva in tutte le cose con pacatezza. (…) Negli anni Settanta e oltre, più di un gesuita frequentava la Comunità. Ricordo, in particolare, una visita del preposito generale dei gesuiti, Pedro Arrupe, accompagnato da padre Simon Decloux, un gesuita che ha conosciuto bene anche Bergoglio e di cui il Papa serba una grande stima. Quella visita di Arrupe s’inseriva nel quadro di una collaborazione spontanea con vari gesuiti romani e rappresento un’occasione di grande apertura: il preposito generale raccontò le sue esperienze ecumeniche in Russia, il rapporto con il metropolita Nikodim (il vescovo russo che mori durante un’udienza con Giovanni Paolo I), e la terribile esperienza della bomba atomica a Hiroshima, dove allora viveva.
C’era, in quegli anni, nel mondo dei religiosi di Roma impegnati nelle loro istituzioni (nel caso di Martini, il Biblico e l ’Università Gregoriana) un desiderio di andare oltre, di uscire – come avrebbe detto più tardi Papa Francesco – dagli orizzonti abituali, un po ’ avulsi dalla realtà in costante movimento e di incontrare il mondo della città con i suoi abitanti.
In molti condividevano l’insoddisfazione per una vita troppo distaccata dalla vita reale delle persone. Non si poteva vivere a Roma da stranieri e da estraniati. Questa consapevolezza era l ’espressione di un mondo ecclesiale che non voleva essere autosufficiente e vivere in modo autoreferenziale. (…) Il rapporto con i poveri e un tratto decisivo della sua esperienza nelle periferie romane.
Nel 1987, aderiva con partecipazione personale ad un testo scritto per le comunità di Sant ’Egidio della periferia romana: «Andiamo incontro a chi vive nella solitudine, accogliamo con gioia chi e povero, abbiamo cura di chi e malato, chiamiamo alla speranza chi e curvo su di sé. Poniamoci ogni giorno al servizio di tanti che vivono nei nostri quartieri, accanto a noi, per ridare forza alla loro debolezza, per trasformare in gioia la loro tristezza, per dare speranza alla rassegnazione che li opprime ». (…) L’incontro con la Comunità, che risale al 1974, aveva rappresentato per Martini l’esperienza di una realtà in cui si viveva la solidarietà verso i poveri assieme all’ascolto della Parola di Dio, in un tempo in cui queste due dimensioni erano spesso lontane, se non contrapposte. (…)
Negli anni di Benedetto XVI, il cardinale era preoccupato per l’evoluzione della vita della Chiesa che gli sembrava andare verso il ripiegamento e l’assenza di cambiamenti. (…) Negli incontri con il cardinale durante quel periodo ho ripensato varie volte a quel che aveva detto a proposito del pessimismo di Lazzati. Tuttavia, nella sua crescente debolezza, sprigionava una forza profonda che gli veniva dalla sua ricerca di Dio (sentiva di avere un appuntamento decisivo con la morte), dalla familiarità con la Bibbia, da un ’umanità sempre desiderosa di comunicare con gli altri in amicizia, nonostante le difficoltà concrete. I poveri, le periferie, i migranti, gli anziani, l ’incipiente globalizzazione e poi le problematiche imposte da questa stagione storica, il dialogo interreligioso e l ’ecumenismo, sono state alcune delle tematiche che hanno rappresentato il terreno di discussione con l’uno o l’altro della Comunità, ma anche il cuore di molti suoi interventi, nel quadro di eventi pubblici promossi da Sant’Egidio.
Con acutezza Zuccolini ha recuperato materiale di grande interesse, anche inedito o raro, ponendo tali tematiche al centro di questo libro, perché l ’amicizia tra Martini e la Comunita si è espressa in una discussione costante, attraverso gli anni, sui problemi della storia con un orizzonte che si ampliava progressivamente.
Bene ha fatto l’autore a riportare nella seconda parte del volume alcuni interventi di Carlo Maria Martini connessi alla Comunità o alle problematiche discusse insieme.
«Oggi, attraverso un ’informazione sofisticata, siamo caricati di problemi mondiali senza avere le forze e le chiavi interpretative per rispondere. Questa e una condizione drammatica. Non abbiamo delle risposte globali. Quando pongo una simile questione, mi sento rispondere che questa e una domanda tipica della mentalità moderna, mentre oggi siamo nel postmoderno e non cerchiamo più le soluzioni globali. Però io rimango con la fame di soluzioni globali».
Queste parole, pronunciate da Martini durante un dialogo nella basilica di Santa Maria in Trastevere nel 1998, nel contesto di scenari nuovi come quelli della globalizzazione, mostrano la sua sete di domande, la sua volontà di cercare sempre e ancora, il suo bisogno di non accontentarsi di quel che si pensa, si sa, si conosce già (…).