Fonte: Famiglia Cristiana
Ci sono immagini di Giovanni Paolo II che non si dimenticano. Alcune di esse riguardano il Papa con i Leader delle religioni non cristiane. Prima tra tutte quella del 27 ottobre 1986 ad Assisi: il Papa e gli esponenti di tutte le grandi religioni per una giornata di preghiera per la pace. È una delle più importanti icone religiose del Novecento. Ma non si trattò solo di immagine, bensì di una realtà decisiva.
Ad Assisi le religioni affermavano con forza che il messaggio di pace era nel cuore delle loro tradizioni. Non era però un incontro isolato: il cammino del dialogo tra le religioni e la Chiesa cattolica veniva da lontano ed era stato proposto in modo organico come impegno della Santa Sede e dei cattolici dal concilio Vaticano II. Giovanni Paolo II, nei suoi viaggi, lo aveva praticato in tanti incontri: «Tutti i viaggi», dichiara di ritorno dall’India, «sono un po’ la continuazione di Assisi. E Assisi è già un fatto possiamo dire irreversibile».
Diversi sono i percorsi di incontro tra la Chiesa e le differenti religioni. Il riavvicinamento tra cristiani ed ebrei avviene con la Seconda guerra mondiale dopo il dramma della Shoah. Karol Wojtyla, giovane, vive il dramma della guerra e degli ebrei a Cracovia (dove quasi un quarto della popolazione era ebraica). Auschwitz si trova nel territorio dell’arcidiocesi di Cracovia. Da ragazzo, nella sua cittadina natale, è amico degli ebrei: «Ho ancora negli occhi le file dei fedeli, che il giorno festivo», scrive, «Si recavano nella sinagoga a pregare». Nel 1987, incontrando gli ebrei di Varsavia, spiega: «Il Papa venuto dalla Polonia ha un particolare rapporto con tutto questo (cioè la Shoah, ndr), perché insieme con voi ha vissuto in un certo senso tutto ciò».
È un vero amico degli ebrei, tanto che nel 1969, da arcivescovo di Cracovia, visita la sinagoga della sua città, in un momento in cui infuria la campagna antisemita dei comunisti. Per lui gli ebrei sono “fratelli maggiori”, come scrive il letterato polacco Adam Mickiewicz. Da Papa, nel 1986 varca la soglia del tempio maggiore degli ebrei romani, accolto dal rabbino capo Elio Toaff. Il loro abbraccio è un’altra immagine storica del pontificato: il simbolo di un’amicizia ritrovata e irrinunciabile. Lo stesso Toaff viene nominato nel testamento del Papa come amico. Si tratta di un segno che va al di là dell'atto personale: cristiani ed ebrei sono inscindibilmente fratelli.
L’islam era una realtà meno nota al polacco Wojtyla. Ma la sua elezione coincide con la ripresa dell’orgoglio islamico. Nel 1979, Khomeini ritorna in iran, dove instaura un regime teocratico. il Papa conduce un’offensiva di dialogo, anche se è fermo nel chiedere la libertà religiosa per tutti. Nel 1985 parla a 80 mila giovani musulmani a Casablanca, radunati dal re del Marocco: «Ci siamo trovati su posizioni opposte e abbiamo consumato le nostre energie in polemiche e guerre. Io credo che Dio ci chiama, oggi, a cambiare le nostre antiche abitudini.., dobbiamo anche stimolarci reciprocamente nel compiere opere di bene».
IL grande disegno wojtyliano di dialogo prosegue con una fitta rete di incontri personali. Nel 2001 visita La grande moschea di Damasco. Dopo l’11 settembre 2001, c’è un passaggio cruciale. Il Papa condanna fermamente il terrorismo, ma fa di tutto perché non si scivoli in un conflitto fra l’Occidente cristiano e l’islam. Nel dicembre 2001 indice il digiuno per i cattolici nell’ultimo giorno del digiuno musulmano del Ramadan: un segno di pace spirituale per disarmare i cuori. Nel 2002, di nuovo dopo l’86, convoca ad Assisi i leader religiosi per pregare per la pace e dichiarare il proprio impegno per essa e contro la violenza terrorista.
Giovanni Paolo II è convinto che un accostamento amichevole e spirituale ai credenti d’altra religione sia un fondamento che sorregge la pace nel mondo. Già negli anni ottanta, intuisce come le religioni esercitino un ruolo pubblico importante: possono motivare i conflitti o fondare una visione di pace.
Durante i suoi viaggi non manca di incontrare gli esponenti delle varie religioni, come in India, nel 1986, dove rende omaggio a Gandhi (figura che lo ha sempre interessato) e incontra il Dalai Lama. Durante questo viaggio delinea la sua posizione sul dialogo con le religioni, tenendo presente l’avvolgente pluralismo religioso del mondo indiano.
Bisogna accostarsi alle tradizioni religiose con amicizia, cercandovi la presenza di Dio e dei
semi del Verbo. Tale atteggiamento può aprire a una collaborazione per una convivenza pacifica. Ma, in ogni occasione, con ferma umiltà il Papa professa la sua fede. Questa è — egli dice — la ragione prima per cui cerca l’incontro con gli altri.
Giovanni Paolo II incontra in Thailandia il patriarca buddhista e altri esponenti di questa religione. Guarda però con preoccupazione la diffusione del buddhismo in Occidente: afferma che questa religione è «in misura rilevante un sistema ateo», in cui ci si libera dal male non attraverso il bene, ma attraverso il distacco dal mondo. È convinto che la mistica cristiana comincia laddove cessano le riflessioni di Buddha. Il dialogo tra le religioni non è una confusione relativistica di un'esperienza religosa costruìta nel sincretismo, quanto piuttosto l’arte di vivere insieme consapevoli della propria identità.
Per questo lo “spirito di Assisi” rappresenta bene l’idea di dialogo con le religioni di papa Wojtyla. Egli sente che «è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace». Allora il dialogo — dice ad Assisi nel 1986 — è una «meravigliosa ed entusiasmante chiamata da seguire». La sua idea non è un sincretismo confuso e alla moda.
Il Papa crede che la Chiesa cattolica, consapevole della verità, si deve mettere al servizio della convivenza pacifica tra i credenti delle varie religioni, con la sua esperienza dell’umano. Ha chiaro come, nel mondo gbbalizzato, non esista più nessuna regione totalmente omogenea da un punto di vista religioso ed etnico. Bisogna imparare l’arte del convivere. Così, alla fine della giornata di Assisi nel 1986, dice guardando il futuro: «La pace attende i suoi profeti. Insieme abbiamo riempito i nostri sguardi con visioni di pace: esse sprigionano energie per un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace, gesti che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia o generate dalle ideologie». Rivolge così un invito che resta ancora una profezia per questo nostro XXI secolo: «La pace è un cantiere, aperto a tutti e non soltanto agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. Noi affidiamo la causa della pace specialmente ai giovani».
Pace e dialogo tra le religioni si intrecciano insieme nella visione di papa Wojtyla.