23/03/2012 Di gioco si muore, limitiamo gli spot

La proposta del ministro per la Cooperazione internazionale Andrea Riccardi: chi gioca per rifarsi dalle perdite entra in un circuito da cui non è facile uscire.

di gigasweb

Fonte: Famiglia Cristiana

Mi scrive una donna: «Sono la moglie di un ragazzo che è convinto di risolvere i suoi problemi con il gioco e desideravo che qualcuno intervenisse quantomeno nel problema degli spot televisivi. Io sono una persona forte e razionale, ma mio marito è debole. La mia vita è sempre più un disastro». È uno dei messaggi che ho ricevuto dopo che ho preso l’iniziativa di segnalare la pericolosità del gioco d’azzardo e la necessità di regolare la pubblicità in proposito.

Questi messaggi mi hanno fatto riflettere sul dolore di tante famiglie e sul tunnel in cui si ritrovano non pochi italiani. La pubblicità, da parte sua, trasmette un messaggio allettante: l’azzardo come una via rapida e breve per aver fortuna in un presente in cui tante strade si chiudono davanti alla gente. Significativamente, nei tempi di crisi e di calo di speranza il gioco d’azzardo prospera. È il sogno di una vita che non richieda fatica, lavoro e pazienza. Ma bisogna anche dire che si tratta di un’illusione. Talvolta, il gioco è anche un rifugio dopo tante frustrazioni e dopo che la vita si è rivelata troppo difficile.

Si cerca magicamente di cambiare una situazione di disagio in una conduzione fortunata. Ma spessissimo la magia non riesce. Se riesce una volta è un’eccezione. Anzi, spesso comincia una storia che porta sempre più in basso: indebitamenti, ingresso nei circuiti dell’usura, coinvolgimento dei familiari e crisi delle famiglie.
Il gioco è un fenomeno di tutte le civiltà. Non che si voglia abolire l’aspetto ludico della nostra vita, perché giocare è un aspetto bello della vita. Ma come giocare e quanto investire sul gioco? Si deve segnalare un pericolo e una dipendenza per una fascia di persone. Del resto il gioco si va spostando sempre più da una dimensione sociale (per cui quello che perdo lo vince un altro) a una dimensione solitaria (in cui mi trovo davanti a un ente anonimo che incassa le mie perdite e paga i miei guadagni). Si sta manifestando una vera e propria dipendenza psicologica dal gioco, la cosiddetta ludopatia, un comportamento compulsivo, assimilabile alla tossicodipendenza o all’alcolismo.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità il 3 per cento degli italiani, circa un milione e mezzo, sono affetti da questa sindrome. La maggior parte dei giocatori sono uomini, per lo più diplomati; ma non mancano le donne. Il giocatore viene preso da una forma ossessiva: gioca per rifarsi dalle perdite ed entra in un circuito da cui non è facile uscire, perché monopolizza tutta la sua attenzione. Bisogna prevenire queste forme di dipendenza, ma anche evitare che, con la pubblicità, si alimenti un’attrazione pericolosa. Il gioco diventa come il fumo e bisogna avvertire che di esso si può “morire”. Muore, insomma, una vita normale, fatta di relazioni con gli altri e di equilibrio, sotto il peso di una dipendenza sempre più schiacciante.

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