Fonte: Famiglia Cristiana
Francesco va al Tempio Maggiore degli ebrei di Roma a trent’anni dalla prima visita di un Papa in una sinagoga. Era il 1986, quando Giovanni Paolo II varcò la soglia del tempio accolto dal rabbino capo, Elio Toaff. Alle spalle c’era una storia dolorosa. Basti pensare all’imposizione (fatta dai Papi) della residenza nel ghetto dal 1555 e all’obbligo di ascoltare le “prediche coatte” sul cristianesimo. La residenza forzata nel quartiere durò sino al 1870, con la fine del Governo pontificio. C’era poi la memoria della razzia degli ebrei romani da parte dei nazisti, il 16 ottobre 1943, e dei “silenzi” di Pio XII (nonostante l’accoglienza di parecchi istituti ecclesiastici verso i perseguitati). La storia tra Chiesa cattolica ed ebraismo, d’altra parte, non è stata facile. La svolta del Vaticano II, con la dichiarazione Nostra aetate e la caduta dell’accusa di deicidio agli ebrei, ha aperto il dialogo.
Ma il Papa polacco, amico degli ebrei e testimone della Shoah in Polonia, volle fare un gesto simbolico. Trovò in Toaff un interlocutore audace. Anche se c’erano varie questioni aperte: nel 1986, la Santa Sede non riconosceva lo Stato d’Israele (che Paolo VI non aveva nominato durante il viaggio in Terra Santa, pur salutando il presidente israeliano). Papa Wojtyla volle il riconoscimento nel 1993. La visita al tempio di Roma fu una svolta epocale davanti al mondo. Wojtyla è stato un Papa tanto amato dagli ebrei e ancora lo è. Per lui era vitale il rapporto con i “fratelli maggiori”, come diceva con espressione mutuata dal poeta polacco ottocentesco, Adam Mickiewiz.
Benedetto XVI, con una visita e un importante discorso nel 2010, ha posto fine a un momento di tensione con l’ebraismo. In quell’occasione rese omaggio alle vittime della Shoah, deponendo un cuscino di fiori in Largo i6 ottobre 1943, dove gli ebrei furono ammassati nei camion nazisti. Papa Francesco giunge al tempio in un clima sereno di rapporti: dopo la visita in Israele e la preghiera per la pace in Terra Santa in Vaticano con Shimon Peres e Abu Mazen. Da pochi giorni è entrato in vigore l’accordo che porterà all’accreditamento d’un ambasciatore palestinese in Vaticano e che ha suscitato il disappunto israeliano. Il fatto non turba però la visita, che è l’occasione di un incontro diretto e “romano” tra Bergoglio e gli ebrei. La crisi morale di Roma è presente nell’incontro tra il vescovo e gli ebrei della città. Ma c’è anche un significato più largo: l’ormai indistruttibile vicinanza tra ebrei e cattolici innanzi agli scenari di un mondo difficile.