Fonte: Corriere della Sera
I l breve tragitto di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma trova alcune difficoltà, come quella rappresentata dalla presa di posizione del rabbino Laras. Le dichiarazioni si incrociano. Si ricorda la visita di Giovanni Paolo II nel 1986 come una marcia trionfale. La poca memoria occulta che allora non ci fu solo la sorridente foto tra il papa slavo e il rabbino Toaff. Ci furono difficoltà. Prevalse però la sensazione (vera) della caduta del muro millenario. Si realizzava, vent' anni dopo, quanto il Vaticano II aveva affermato con la Nostra Aetate, la dichiarazione che cancella l' accusa di deicidio agli ebrei e afferma la fraternità della Chiesa verso di loro. Il vecchio Jules Isaac, ebreo francese che aveva perso moglie e figlia nella Shoah, aveva domandato a due papi, Pio XII e Giovanni XXIII, la fine della predicazione del disprezzo verso gli ebrei. Ma al Concilio ci furono difficoltà da parte di cristiani-arabi e tradizionalisti, tanto era importante la decisione. Il muro è caduto con entusiasmo nel 1986. Ebrei e cattolici oggi parlano e discutono. È il tempo della costruzione dei ponti tra le due «rive». Compito difficile che necessita di paziente intelligenza, non solo dell' entusiasmo di un giorno. Questo spiega le difficoltà di oggi, quelle della costruzione. Benedetto XVI passa il Tevere per consolidare il ponte tra Chiesa e Israele, alla cui opera crede con sincerità. Lo sanno gli ebrei sull' altra riva, come il rabbino Di Segni, che ha scritto: «Abbiamo (forse) superato le difficoltà delle fasi iniziali dell' incontro… Dobbiamo andare avanti, con modi e schemi da inventare, per il bene nostro e di tutti». La visita è uno di questi modi: diventa festa dell' incontro, in un mondo in cui ci si parla tramite media e senza guardarsi in faccia. Il dialogo non è solo opera di commissioni specializzate, ma anche incontro di comunità. La gente ha bisogno di vedere l' incontro. In un tempo emozionale come il nostro, costruire i ponti sembra poca cosa e richiede troppo tempo. Le difficoltà ci sono. È normale e vanno dalla storia recente (i «silenzi» di Pio XII) sino alla teologia. L' uso improprio della categoria «giudeo-cristianesimo», invalsa in pubblico per parlare delle «radici dell' Europa», ha quasi presupposto che ci fosse un' unica religione. Jacob Nuesner, il rabbino con cui dialoga Benedetto XVI su Gesù, precisa che ebraismo e cristianesimo sono due mondi religiosi diversi. Per lui oggi il dialogo è a questo punto: «Al di là della tolleranza e al di qua della teologia». Il modo con cui gli uni vedono gli altri non è speculare o identico. Eppure, per entrambi, è necessario incontrarsi. Nel 1986 Giovanni Paolo II parlò degli ebrei come «i nostri fratelli maggiori»: un' espressione romantica polacca di Adam Mickiewicz (in cui qualche orecchio ebraico percepì un' allusione – errata – a Esaù, che svendette la primogenitura). Ma il papa precisò: «La religione ebraica non ci è estrinseca, ma in un certo senso è intrinseca alla nostra religione». Benedetto XVI pratica il dialogo nella verità: parole e gesti del papa esprimono il profondo del suo pensiero. Così, nel 2006, ricevendo Di Segni, ha apertamente parlato di «popolo d' Israele» riferendosi agli ebrei. Domenica prossima, traversando le vie dell' antico ghetto, dove i papi rinchiusero gli ebrei fino al 1870, si fermerà davanti alla lapide della deportazione nazista degli ebrei di Roma, il 16 ottobre 1943. È un gesto di grande significato da parte di un papa di origine tedesca: dice come la Chiesa sente il ricordo della Shoah e la responsabilità che non sia dimenticata. Poi il papa sosterà davanti al ricordo di un bambino di tre anni, Stefano Taché, ucciso nel 1982 dai terroristi palestinesi. Anche questa partecipazione ai dolori manifesta la familiarità. Del resto, ricordo Di Segni esprimere la sua solidarietà davanti a San Giovanni, ai funerali di don Andrea Santoro, ucciso in Turchia. Diversità e familiarità sono la cifra dell' incontro. Il rosario delle difficoltà non va certo ignorato, ma c' è qualcosa di più. La visita ha, per cristiani ed ebrei, reminiscenze religiose profonde. Accogliere l' altro non è recita, ma ha un valore sacro di legame nella diversità. Sono queste le vibrazioni profonde da cogliere nell' evento e, forse sempre, nell' incontro tra ebrei e cristiani. Bisogna riscoprire il significato profondo degli eventi religiosi. Dice un detto talmudico: «Le parole che escono dal cuore entrano nel cuore». Ci sono parole dette con il cuore che non si dimenticano tra ebrei e cristiani.