02/01/2022 L’uomo che ha (ri)cucito il Paese

di Andrea Riccardi

Fonte: Famiglia Cristiana

Sentirsi rappresentati da una personalità non di parte ha fatto bene agli italiani. L’editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana.

Il settennato di Sergio Mattarella volge alla fine, mentre in ogni settore della società italiana si esprimono affetto per la sua persona e nostalgia per la sua presenza al Quirinale. I tanti tentativi di indurlo a fare qualche anno in più come presidente si sono scontrati prima con il suo fermo rifiuto e poi, addirittura, con alcuni dubbi di carattere costituzionale su una simile operazione. Mattarella considera compiuta la sua missione. Ha sempre avuto un certo distacco dal “potere”. Pochi giorni prima della sua elezione, già consapevole della sua candidatura, disse in modo confidenziale: «Non ho chiesto di essere candidato e non mi dispiacerò se non sono eletto». 

Durante la “seconda Repubblica” (una definizione impropria perché non sono avvenuti mutamenti costituzionali), il Quirinale ha avuto un ruolo politico di rilievo, rappresentando un baricentro essenziale e talvolta un centro di iniziativa politica. Il che non era avvenuto prima della presidenza di Oscar Luigi Scalfaro, eletto nel 1992. Significativamente questo politico della prima Repubblica, costituente nel 1946, ha dato l’avvio a un’interpretazione più larga del ruolo del Capo dello Stato. Anche Ciampi e Napolitano, seppur in modo diverso, si sono collocati nel solco “nuovo” della presenza del Quirinale nella politica italiana. Giorgio Napolitano, nella crisi del 2013, è stato rieletto, anche se era chiaro che non sarebbe restato per un intero mandato. 

Sergio Mattarella ha insegnato Diritto pubblico e Diritto costituzionale fino all’elezione in Parlamento nel 1983. La sua presidenza ha avuto sempre come bussola soprattutto la Costituzione, che «rappresenta la base e la garanzia della nostra libertà», ha detto celebrandone i settant’anni. Con questa sensibilità, pur collocandosi tra i presidenti della seconda Repubblica, ha interpretato il suo ruolo con molta attenzione a non riempire direttamente i vuoti della politica e le sue omissioni. Insomma ha resistito a rispondere direttamente a quella carenza di sintesi politica che ha caratterizzato gli ultimi tre decenni della storia italiana. 

Questo non vuol dire che non si sia preso le sue responsabilità, anche politiche, o che la sua presidenza sia stata formale. Molte decisioni stanno a mostrarlo, non ultimo il conferimento dell’incarico di Governo a Mario Draghi. 

Tuttavia Mattarella ha teso soprattutto a rappresentare l'”unità nazionale”, come afferma l’articolo 87 della Costituzione. E ci è riuscito in maniera crescente, senza indulgere a quei populismi che si sviluppano nel vuoto di discorso pubblico e nella mancanza di visione del futuro del Paese. La sua prima visita come Capo dello Stato è avvenuta alle Fosse Ardeatine, richiamando efficacemente l’alveo storico-politico in cui si colloca non solo la sua presidenza, ma la Repubblica. 

Ha tracciato un confine nei confronti dei revisionismi e delle politiche che intendono strappare la nostra democrazia dalle sue radici profonde, che sono nella Resistenza al nazifascismo e nella memoria del dramma della Seconda guerra mondiale che ha sconvolto l’Europa. La nomina di Liliana Segre a senatrice a vita è stata un atto molto significativo in questo senso. Mai, fino ad allora, si era dato un riconoscimento di questo tipo, non solo a un sopravvissuto o a una sopravvissuta, ma a una personalità del mondo ebraico. 

Il presidente ha interpretato l’unità nazionale con le sue parole, pacate, non formali, con viaggi e incontri. Gli italiani hanno recepito, in maniera crescente, la rappresentatività della figura di Mattarella, scoprendolo come un interlocutore non solo della politica, ma della società e della vita quotidiana con le sue difficoltà. I suoi discorsi sono penetrati nella coscienza della gente comune in un periodo di distacco dalle istituzioni, evidenziato dall’astensionismo elettorale.

Sentirsi rappresentati da una personalità non di parte (anche se con una sua storia politica e un’identità ben profilate) ha fatto bene agli italiani in un periodo sia di disaffezione politica che di gravi difficoltà per la pandemia del Covid-19. Bisognerebbe rileggere con attenzione le parole del presidente e i suoi incontri, che mostrano come abbia offerto, senza presunzione, alcune risposte importanti in un Paese attraversato da un profondo spaesamento. E la gente ha percepito tutto questo, mostrando affetto per l’uomo e dispiacere che non sia più al Quirinale. 

Mattarella è stato un presidente che ha interpretato efficacemente la laicità dello Stato. È stato scritto, penso da Arturo Carlo Jemolo, che l’Italia è uno Stato confessionale. Dagli anni Settanta-Ottanta si è verificato un profondo cambiamento nel senso della secolarizzazione, sia nello Stato che nella società. Certo, la nostra laicità non è quella francese. Mattarella ha interpretato la laicità italiana con un rapporto costruttivo con i differenti mondi religiosi cercando, peraltro, di valorizzare anche la tradizione di pensiero laico-umanista del Paese.

Il cattolicesimo di Mattarella ha una storia segnata dall’appartenenza all`Azione cattolica, dall’impegnata recezione del concilio Vaticano II, da una cultura religiosa profonda. Questo presidente laico ha avuto un chiaro profilo spirituale e religioso, scevro da ogni confessionalismo. La sua religiosità è così diversa da quella molto personale di Ciampi. Proprio nell’alveo di questa sensibilità, Mattarella ha sviluppato una laicità che non prescinde dalle religioni, ma che invita al «dialogo interconfessionale» e alla «conoscenza reciproca», come ha scritto recentemente, inviando gli auguri per la festa dell’Eid al Fitr, alla fine del Ramadan, ai musulmani italiani e agli immigrati giunti in Italia. Significativa è stata l’attenzione alla comunità ebraica, anche con il ricordo della Shoah nella celebrazione del giorno della memoria al Quirinale.

La laicità si è espressa anche nell’invito al dialogo tra le religioni. Intervenendo all’incontro interreligioso promosso dalla Comunità di Sant’Egidio in Campidoglio nel 2020, ha affermato: «Le preghiere, che sgorgano da diverse sorgenti religiose, sono rivolte a una dimensione ultraterrena, ma la fede da cui promanano alimenta la possibilità che sia più facile vivere insieme in pace su questa Terra, condividendo il limite e la ricchezza della nostra comune umanità». Le religioni possono contribuire alla coesione sociale di cui l’Italia ha bisogno. 

Infatti Sergio Mattarella, nella sua presidenza, è stato molto attento alla società italiana nei suoi risvolti, specie a quella che soffre, alle persone con disabilità, agli emarginati. Senza gesti plateali, estranei al suo carattere, ma con una forte e sistematica attenzione, ha presidiato queste problematiche. Recentemente ha detto: «È un dovere inderogabile delle istituzioni, a ogni livello, combattere la marginalità dovuta al non lavoro, al lavoro mal retribuito, al lavoro nero, alle forme illegali di reclutamento che sfociano in sfruttamento, quando non addirittura in schiavitù contemporanee inammissibili». 

Mattarella è stato un presidente sociale, attento al mondo del lavoro, ma anche a quegli italiani la cui sofferenza non viene rappresentata da nessuno. Le sue prime parole sono state: «Il pensiero va anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini».