Fonte: Corriere della Sera
Giovanni Paolo II è stato il primo Papa «straniero» dal 1523. Gli italiani venivano considerati più adeguati a rappresentare la missione universale della Chiesa, liberi da ipoteche nazionali. Per quasi cinque secoli così è andata la storia. Finché, dopo Paolo VI (uno dei «fondatori» della Dc di De Gasperi) e papa Luciani, i cardinali si convinsero che un Papa non italiano avrebbe potuto affrontare meglio la crisi del cattolicesimo. Con l' elezione di Giovanni Paolo II – scrisse Eugenio Scalfari – «la Chiesa dimostra d' essere la più giovane tra le istituzioni esistenti, nonostante i duemila anni…». Per Spadolini fu la vittoria di un «Tevere più largo» con il distacco della Chiesa dalla politica italiana. In effetti Giovanni Paolo II non l' ha seguito come i suoi predecessori. Non era un Papa «democristiano», come lo storico francese Emile Poulat ha definito Paolo VI. Non lavorò nemmeno per una Dc nella Polonia dopo l' 89. Giovanni Paolo II si sentiva, a suo modo, italiano. Aveva le sue idee. Per lui il partito comunista italiano, non era così «diverso» dal comunismo dell' Est. Non amava il compromesso storico tra Dc e Pci. Aveva simpatia per i cattolici in politica. Francesco Cossiga mi ha raccontato che in pubblico il Papa chiese a lui presidente: «Come va la nostra Dc?». Eppure i Papi italiani come Pio XII, pur attentissimi alla politica del Paese, dicevano ai connazionali «la vostra patria», mai la nostra. Wojtyla non ragionava così: si qualificava gloriosamente polacco e, in una lettera ai connazionali, si firmò «Giovanni Paolo II, polacco». Poco attento alla cronaca politica italiana, papa Wojtyla sentì l' Italia come una seconda patria. Nei primi tempi ebbe timore di essere poco accolto perché straniero. Ma si conquistò gli italiani con tante visite nel Paese. Per lui il cattolicesimo doveva ridiventare una «forza trainante» nella società, come disse al convegno nazionale dei cattolici del 1985, in cui impose una svolta alla Cei, che segnò l' ascesa di Camillo Ruini. Soprattutto fu una presenza morale forte e ferma negli anni del terrorismo. Nel 1981, dopo l' attentato, ferito ripeteva «come Bachelet», il cattolico ucciso dalle Br. Karol Wojtyla voleva fare il vescovo di Roma: visitava ogni settimana una parrocchia, non senza aver ricevuto a pranzo i preti che la curavano. Si interessava alla società. Aveva sviluppato amicizie e contatti italiani. Assistette sgomento alla crisi della prima Repubblica, non convivendo l' attribuzione di responsabilità alla Dc. Lo preoccupavano molto le spinte secessioniste. Per lui l' Italia aveva una sua funzione in Europa e nel mondo, se restava unita. La Chiesa non poteva essere indifferente alle grandi scelte italiane. Nel pieno della crisi, volle la «grande preghiera per l' Italia». Eredità religiosa e identità nazionale si fondevano in un' unica storia di un Paese che il Papa polacco chiamava «patria» (termine che nell' Italia postfascista non era ancora sdoganato). L' Italia era per lui un Paese importante: «Questo popolo protagonista di eventi di carattere decisivo per la storia umana» disse nel 1994. Era una nazione con una missione, per la «cultura di cui vive l' Italia, ma vivono anche… le nazioni dell' Europa e del mondo». Un italiano di allora (e forse di oggi) non avrebbe parlato così e preso tanto sul serio il nostro Paese. Papa Wojtyla sentì l' Italia con accenti da patriota polacco. Non fu però recepito dagli italiani come anacronistico. È stato anche un grande leader «italiano». È caratteristico di Giovanni Paolo II, pur avendo a cuore soprattutto la missione evangelizzatrice, l' aver vissuto da protagonista la storia non solo religiosa in Europa e altrove: un Papa che credeva che si potesse cambiare la storia di tutti. Nel 1994, agli italiani spaesati nella crisi, spiegò il suo segreto: «L' uomo trasforma il mondo trasformando se stesso».