di Wanda Marra

27/02/2022 “L’Europa ha sprecato 30 anni: Kiev non sia una nuova Sarajevo”. Intervista a Andrea Riccardi

di La Redazione

Fonte: Il Fatto Quotidiano

“L’Occidente doveva essere più prudente, sapendo che non si può rispondere con la forza”. Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, l’ipotesi di intervento armato lo considera “follia pura”, nell’angoscia “che la situazione vada del tutto fuori controllo”. Perché “siamo in un periodo in cui le guerre sono avventure senza ritorno”. Tanto è vero che ieri mattina ha lanciato un appello per “Kiev città aperta” portato agli ambasciatori russo e ucraino in Italia.
“Kiev è una città di tre milioni di abitanti, importante per l’Ucraina, ma anche per il mondo slavo storicamente e per Europa. Si tratta di una città santa, dove il popolo russo e ucraino insieme hanno scelto il cristianesimo ortodosso. Vogliamo rifare Aleppo e Sarajevo? Vogliamo combattimenti casa per casa? Vogliamo distruggere un’intera popolazione?”.
Professore, qual è il senso di questo appello? E non siamo già oltre?
Una città aperta è quella dove si crea uno spazio in cui non si combatte. Ora sul terreno ci sono l’esercito federale russo e quello ucraino: devono accettare di non sfidarsi l’un l’altro. Roma fu proclamata città aperta nel 1943. Dal punto di vista umanitario significa molto.
In una guerra forse più prevedibile di quanto è sembrato, quanto ha sbagliato l’Occidente?
Era sicuramente più prevedibile. Non averla prevista ha voluto dire anche sperare fino alla fine. Non si aggrega un esercito di queste dimensioni per nulla. Ora siamo davanti a un’invasione, ma c’è una storia di 30 anni in cui abbiamo sprecato la pace a seguito della caduta del Muro nel 1989. Non abbiamo costruito un’architettura pacifica in Europa. Noi come Europa con la Russia ci siamo sfidati e poi legati, come con i gasdotti. Non è stato lungimirante. Ma ora è il momento di fermare la guerra.
Le sanzioni sono abbastanza?
Non lo so. Anche perché Vladimir Putin le aveva messe in conto. Serve riprendere il negoziato, cogliere i segnali.
Ottanta anni di pace forse ci hanno fatto male?
Con la scomparsa della generazione che ha conosciuto la guerra, è scomparsa la paura della guerra. Rischiamo di diventare bellicisti. Ma nello stesso tempo va detto che, dopo anni di indifferenza, nell’opinione pubblica è riapparso il pacifismo, con tante manifestazioni.
Intanto, sono in arrivo i rifugiati.
Ci sono colonne ucraine che si stanno recando in Occidente. Milioni di ucraini lasceranno il Paese. Al Consiglio europeo se n’è parlato, ma bisogna fare qualcosa di concreto. L’Ungheria ha iniziato a dire che bisogna fermare i migranti. E allora, dove sta la solidarietà con l’Ucraina tanto sbandierata?
Quali saranno gli altri effetti sull’Europa?
Intanto, quelli economici. E poi c’è la questione del gas, con la ripresa del carbone come possibile conseguenza. Ma soprattutto, noi Paesi europei dobbiamo metterci insieme, con una difesa e una politica estera comune, una condivisione della politica delle frontiere, con la redistribuzione dei migranti. Chi ci sta ci sta, e gli altri Paesi faranno parte di un raggio più largo.
Draghi non è stato troppo defilato?
Ha avuto una posizione molto prudente, molto corretta. Per il futuro c’è attesa nei confronti dell’Italia.
D’altra parte l’aeroporto di Mosca, con gli arrivi di Scholz e Macron, era parecchio affollato. Draghi si pone come riserva.
Ma non è stato condizionato dal difficile equilibrio tra l’impossibilità di rompere con Mosca e il suo atlantismo?
Si tratta di una storia vecchia. Ma non va impostata in termini di Guerra fredda. La nostra dipendenza dalla Russia e i legami con gli Usa non sono contraddizioni, ma realtà in un mondo globale.
Qual è il ruolo della Cina?
Il riavvicinamento russo-cinese è una novità sullo scenario geopolitico. Ed è un fatto di grandissima importanza.