di Giovanna Casadio

06/11/2022 Riccardi “Non siamo equidistanti ma schierati contro la guerra”

di Andrea Riccardi

Fonte: La Repubblica

Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, tra i promotori della piazza della pace a Roma: se l’aspettava questa marea di manifestanti?
«Non così tanta, era un bellissimo colpo d’occhio: il corteo ancora sfilava e la piazza era piena. Sindacati, associazioni, mondo cattolico, ma anche tanti giovani e anziani che si univano. Un popolo per la pace che ha portato in piazza anche l’angoscia che cova da 8 mesi per l’Ucraina e l’aggressione russa».
Una piazza le cui ragioni sono quelle del pacifismo “senza se e senza ma”?
«Negli ultimi decenni si è andata riabilitando la guerra come compagna della storia umana. La parola pace è finita in archivio o è diventata sinonimo di debolezza. In modo corale rimettiamo la pace in cima all’agenda della politica. Le politiche possono essere diverse, ma la pace è il fine di tutte. Siamo in un quadro mondiale, globale non irenico, bensì conflittuale, in cui le guerre cominciano e non finiscono. È il caso di quanto successo in Siria».
E di quanto può accadere in Ucraina?
«Certo, perché la Siria è stata un laboratorio di quanto accade in Ucraina, della brutalità russa nella guerra. La piazza pacifista non è stata una piazza neutrale. Non so cosa avessero in mente i 100 mila manifestanti, ma tutti avevano nel cuore la pace giusta per l’Ucraina ».
Lei ha scelto la piazza romana. Cosa pensa di quella di Milano, da dove sono piovute accuse alla manifestazione arcobaleno a Roma di essere filo putiniana ed equidistante dall’aggressore (Putin) e dall’aggredito (il popolo ucraino)?
«La manifestazione di Roma non è stata politica, ma popolare. Non è stata una fine, ma un inizio. Nessuno può usare politicamente questa piazza per polemiche di corto respiro. Conosco la guerra. L’ho vista in Mozambico, in Libano, in tanti Paesi africani: sulla guerra non si gioca, non si può usare per le nostre polemiche italiote».
E lei non è equidistante?
«Credo di essere sempre stato molto vicino all’Ucraina, sin dalle istanze indipendentiste degli anni Ottanta. Nessuna equidistanza, ma una grande passione per quel popolo che ha dovuto abbandonare il proprio Paese, per le donne che mettono in salvo i figli e per i loro uomini che resistono. Filoputinismo? Ma dove? Stiamo chiedendo che si accolgano in Europa i russi che fuggono perché non vogliono combattere. Non siamo neutrali, siamo schierati per la pace».
L’Italia deve rifinanziare l’invio di armi a Kiev?
«La legittima difesa dell’Ucraina è un valore, ma l’Ucraina ha bisogno di più diplomazia. C’è un nanismo della diplomazia in questa situazione, c’è una passività diplomatica dei grandi attori europei e mondiali. C’è bisogno degli Usa, della Cina, della comunità internazionale».
Ha citato Papa Bergoglio nel suo discorso dal palco. La strada è quella?
«Sì, l’appello di papa Francesco è al presidente della Federazione russa, perché faccia uscire il suo popolo dalla spirale della guerra, e al presidente dell’Ucraina perché sia aperto a serie proposte di pace. Le opinioni pubbliche europee si sentono spaesate e impotenti. Devono ritrovare centralità, facendo sentire la loro voce e ispirando politiche per porre fine alla guerra in modo giusto».