Fonte: Corriere della Sera
Il popolo, sovrano «nelle forme e nei limiti della Costituzione», non sceglie un capo. E il problema non è il numero delle poltrone ma la responsabilità di chi le occupa.
Nel lessico politico agitato di questi giorni due parole ricorrono con frequenza: «popolo» e «poltrone». Il popolo sovrano da una parte e, dall’altra, l’accusa ai politici di essere accaparratori di poltrone. Dare voce al popolo e ridurre le poltrone sembra la panacea: un politically correct ripetuto da molti anche per non apparire «poltronari» o usurpatori della volontà del popolo. Il popolo italiano si è espresso recentemente. Alle elezioni politiche del marzo 2018 (da cui è nato il governo Conte) e con le Europee del maggio 2019. In un anno non è cambiato troppo, se non la crescita della Lega alle europee e nei sondaggi. Si deve, per ora, provare a cercare soluzioni all’interno del Parlamento. Non è attaccamento alle «poltrone», ma alla logica delle istituzioni democratiche.
In realtà è prevalso nell’immaginario politico, un modello bipolare che, negli anni Novanta, sembrò la soluzione alla crisi della prima Repubblica. Il culto del referendum lo ha rafforzato. Diversi sistemi elettorali hanno cercato di realizzare il bipolarismo, ma ci sono state resistenze che fanno pensare a un corpo sociale italiano refrattario, perché legato all’Italia delle cento città, ai tanti mondi, alle rappresentanze differenziate. La coerente ricerca di un sistema bipolare, animata da intenti riformatori della politica ma smentita dalla storia, è scaduta ormai in logica plebiscitaria. Dal bipolarismo al plebiscitarismo. È tutt’altra cosa.