08/04/2016 Cosa resterà della grande Chiesa?

di Andrea Riccardi

Fonte: Corriere della Sera - SETTE

Le piccole comunità cristiane sparse in Oriente sono a rischio. Il XXI secolo potrebbe essere l'ultimo della loro lunghissima storia.

C’è un cristianesimo in larga parte perduto, diverso da quello occidentale (cattolico o protestante) o da quello ortodosso di Costantinopoli e Mosca. Ne restano alcuni spezzoni, salvatisi dal naufragio: piccole comunità cristiane e documenti di una lunga storia. Quando nell’agosto scorso, si seppe che Daesh aveva rapito più di duecento cristiani in Siria, si parlò di loro come “assiri”. Di chi si trattava? Questi “assiri” sono figli di una grande Chiesa che, a partire dal V secolo, raggiunse l’Asia centrale, la Cina, l’India e il Tibet. Nelle rovine dell’antica città di Merv (ora in Turkmenistan) sono stati scoperti da una missione archeologica italiana i resti di una chiesa assira. Il cristianesimo assiro e quello siriaco (sviluppatisi con diverse identità) sono stati un grande mondo cristiano anche da un punto di vista numerico, proiettato verso l’Asia: all’inizio del secondo millennio, un terzo dei cristiani del mondo viveva lungo la direttrice dal Medio Oriente all’Asia. Philip Jenkins in un libro, La storia perduta del cristianesimo, Edizioni Emi (da poco tradotto in italiano), ne parla come di un «terzo mondo cristiano», accanto a cattolici e ortodossi, sviluppatosi a prescindere dal Papa e dal Patriarca di Costantinopoli.
È un’epopea, durata un millennio tra culture diverse con alterne vicende, di cui si sa poco. Di tante sedi episcopali e monasteri restano solo i nomi, indicatori di vasta espansione geografica. Slanciati verso l’Asia, i cristiani d’Oriente sono rimasti radicati nella tradizione ebraica delle origini. Le liturgie (siriaca e assira) portano forte l’impronta della preghiera ebraica della sinagoga.

Persecuzione e intolleranza. Il cristianesimo d’Oriente, esterno alla speculazione teologica cattolico-ortodossa, non ha vissuto nei quadri dello Stato confessionale, di quel sistema di cristianità consolidatosi – a partire dal IV secolo con l’impero e i regni in Occidente (finito con Rivoluzione francese) sia con l’impero bizantino e la Santa Russia, seppellita dalla Rivoluzione russa. Il cristianesimo d’Oriente è stato sempre minoritario ma non ghettizzato, dotato di originale spessore culturale e teologico. Ha dialogato con tutte le culture: arabo-islamica, persiana, buddista e induista, parlando lingue asiatiche come cinese, mongolo e turco. Famosa è la Stele di Xi’an, scolpita nel 781 in un monastero assiro dell’allora capitale cinese, in cui si parla del cristianesimo come “religione della luce” usando la lingua cinese con tracce di siriaco. Ancora a fine Duecento, Marco Polo, in viaggio per l’Asia sino alla Cina, incontra monaci cristiani.
Ci furono varie stagioni di sviluppo e crisi di questo cristianesimo vissuto sotto poteri non cristiani. La fine arrivò nel XIV secolo, sotto la spinta dei mongoli ormai largamente islamizzati e dei turchi: tante comunità vennero spazzate via dalla persecuzione e dall’intolleranza. Rimasero importanti comunità in India, trovate dai portoghesi. I resti dei cristiani d’Oriente si rifugiarono sui monti: gli assiri nel Kurdistan, poi concentrati nell’Hakkari attorno al patriarcato (divenuto ereditario di zio in nipote); i siriaci nello storico altopiano del Tur Abdin vicino ai monasteri. Gli ortodossi e i cattolici li hanno considerati eretici. La Chiesa di Roma ne ha inglobato alcuni settori.
Abbarbicati alle tradizioni, poco consapevoli della loro storia e cultura, questi cristiani hanno resistito tenaci, quasi fuori dalla storia. Ma li ha sorpresi la persecuzione del 1915 da parte dei “giovani turchi”, colpendoli nei loro rifugi: iniziarono altri esodi in Medio Oriente e oltre. Ora, cent’anni dopo, subiscono nuove prove. Queste comunità hanno resistito, ma portano i segni di una storia dura con l’islam. Il XXI secolo assisterà alla fine di questo cristianesimo così antico?

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